Un Consiglio superiore della magistratura che, dopo due anni dall'esplosione del caso Palamara, continua a distribuire poltrone esattamente come prima: al punto che deve intervenire il Tar del Lazio per annullare un'altra nomina fatta dalle correnti senza neanche confrontare pregi e difetti degli altri candidati. E tutto questo avviene mentre l'inchiesta che ha dato il via al putiferio, l'indagine su Luca Palamara, perde per strada altri pezzi. Delle accuse terribili lanciate nel 2019 contro l'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati ne rimane in piedi solo la parte più spicciola. E diventa ancor più inevitabile chiedersi quali moventi abbiano armato l'intera operazione.
A certificare il ridimensionamento dell'indagine è la stessa Procura di Perugia, che martedì scorso notifica a Palamara e ai suoi coimputati - l'amica Adele Attisani e il lobbista Fabrizio Centofanti - la modifica delle imputazioni. È la quinta volta che la Procura umbra cambia idea sulle accuse da rivolgere a Palamara & C., e già questo è un modo di procedere decisamente insolito. E a restare in piedi sono i capi d'accusa dove le contropartite che il magistrato avrebbe offerto a Centofanti in cambio di cene e favori appaiono piuttosto vaghe.
Sparisce, dopo avere fatto dentro e fuori dal fascicolo più volte, l'accusa a Palamara di avere orchestrato la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela: nomina voluta dall'inquietante personaggio che risponde al nome di Piero Amara per influenzare le inchieste Eni, e che secondo l'imputazione originaria avrebbe fruttato a Palamara ben 40mila euro. Neanche dei quattrini c'è più traccia: eppure proprio quell'ipotesi di reato motivò l'accensione del micidiale trojan sul telefono di Palamara. Sul tavolo resta la sfilza di regali e favori che l'allora magistrato avrebbe ricevuto da Centofanti per sé e per la Attisani. Ma in cambio di cosa? Il nuovo atto d'accusa incolpa Palamara di avere consentito all'amico di partecipare a «incontri pubblici e riservati» in cui «si pianificavano nomine ed incarichi direttivi riguardanti magistrati», «permettendo in tal modo al Centofanti di accrescere il suo prestigio di lobbista». Ancora più vaga diventa l'accusa per le soffiate che Palamara avrebbe riservato all'amico sulle indagini in corso a suo carico a Roma: non si parla più di notizie effettivamente passate sottobanco, ma di generica «disponibilità ad acquisire». Come si vede, fa una certa differenza. Anche perché lo stesso Centofanti, interrogato recentemente, ha spiegato che a passargli le notizie era in realtà Amara. Ma Amara, divenuto il testimone a 360 gradi di quattro Procure, appare intoccabile.
L'impressione è insomma che la procura di Perugia cerchi di portare a compimento in qualche modo una indagine cui mancano pezzi fondamentali: come quelli che magari si sarebbero acquisiti se Centofanti, amico (lo dice Palamara nel suo libro) del procuratore di allora De Ficchy fosse stato intercettato anche lui.
Nel frattempo, il vento di rinnovamento che doveva investire il Csm è così flebile che anche la nomina dei procuratori aggiunti di Napoli è avvenuta come prima. Il Consiglio aveva scelto (in meno di 48 minuti) Simona Di Monte e Sergio Amato, legati rispettivamente alla corrente di Unicost e ai «davighiani» di Autonomia e Indipendenza.
Il Tar del Lazio annulla entrambe le nomine dicendo che la delibera è stata «una formalità» e che la decisione fu presa «ex ante sulla base di ragioni non note». «Una ulteriore figura pessima di questo Csm», la definiscono i consiglieri del movimento Articolo 101, che chiedono le dimissioni immediate dell'intero consiglio superiore. Ovviamente non si dimetterà nessuno.
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