«Stavolta il problema non sono i centouno di prodiana memoria. Stavolta ce ne saranno cinquecentouno». La constatazione di un parlamentare di lungo corso getta un'ombra sinistra sulle prossime elezioni per il successore di Sergio Mattarella.
Il voto per il Colle, con le sue urne segrete e i mille regolamenti di conti che si intrecciavano alla loro ombra, sono sempre state l'appuntamento più complesso da gestire della vita istituzionale repubblicana. Ma forse mai come stavolta, per una serie di concomitanti ragioni: la debolezza dei partiti, la rissosità delle coalizioni, l'avvicinarsi della scadenza della legislatura, dopo la quale entrerà in vigore il famigerato taglio dei parlamentari che dimezzerà le prossime Camere. Una riforma voluta dai Cinque Stelle, che oggi si taglierebbero le mani piuttosto che votarla di nuovo, azzerando le proprie possibilità di tornare in Parlamento. I leader non controllano le proprie truppe: basti vedere cosa è successo nel Pd sul ddl Zan, e cosa sta succedendo al povero Conte sui capigruppo M5s. E nessuno controlla quell'immenso e variegato gruppone chiamato Misto, dove sono affluiti parlamentari da altri partiti (in primis il M5s, che dal 2018 ne ha persi più di cento, da 338 a 233) e dove si affollano le componenti più diverse, che spesso non si sa a chi rispondano. Alla Camera sono 62 (sette componenti), al Senato 47 (nove componenti). Un gruppo autonomo come quello di Italia Viva, che con 43 eletti può diventare ago della bilancia, difficilmente giocherà una partita decisa da Enrico Letta e Giuseppe Conte, e lo stesso si può dire di Più Europa-Radicali o di Azione di Carlo Calenda. Tanto meno si sa con chi si schiereranno i 20 ex grillini di Alternativa c'è. Così come il centrodestra non può automaticamente contare sui 31 parlamentari di Coraggio Italia (Toti) o sul Maie. Poi c'è il gruppo delle Autonomie linguistiche (4 deputati e 5 senatori), che conta iscritti come Gianclaudio Bressa e Pierferdinando Casini ma anche senatori a vita come Napolitano e Elena Cattaneo.
Al centro del Parlamento che si appresta al conclave quirinalizio c'è insomma una vasta e insondabile palude, che coinvolge anche pezzi dei partiti principali, e che può inghiottire qualsiasi operazione, composta da centinaia - nessuno è in grado di quantificarli - di parlamentari. «Il voto segreto è sempre un pericolo», ammette la capogruppo dem Simona Malpezzi. «La vedo difficile, la quota di franchi tiratori è già evidente», nota Pierluigi Bersani. «L'unica cosa che può compattare i grandi elettori è la certezza che non si andrà a votare, per questo è difficile che possa essere eletto un presidente troppo di parte e che non raccolga tutta la maggioranza di governo», nota Stefano Ceccanti.
I Grandi elettori saranno 1008: 630 deputati, 320 senatori (sei sono quelli a vita), 58 delegati regionali, le cui elezioni si svolgeranno di qui al 19 novembre. In ogni regione, tendenzialmente, ce ne saranno due di maggioranza (in genere il presidente della Giunta e quello dell'Assemblea) e uno di opposizione. In ipotesi, i consigli regionali potrebbero indicare chiunque, anche fuori dai propri ranghi, e infatti sono molti i sindaci che pressano per essere scelti. Alla fine i delegati regionali saranno 33 per il centrodestra e 24 per il centrosinistra.
Le due coalizioni possono contare su 451 voti il centrodestra (contando però anche totiani e Noi con l'Italia) e 420 voti il centrosinistra contando Pd, M5s, Leu. Dalla quarta il quorum scenderà alla maggioranza assoluta: 505 voti, e nessuno dei due schieramenti la ha. Sempre ammesso, e per nulla concesso, che riesca a tenere tutti i suoi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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