Panama Papers, l'«Espresso» scopre il suo editore nelle liste

La McIntyre holding era amministrata da Rodolfo De Benedetti fino al 2003. Che replica: «Posizione con il fisco è già stata sanata»

Alla fine, a forza di incrociare i dati dello sterminato archivio dello studio legale Mossack Fonseca di Panama che ha assistito migliaia di clienti di tutto il mondo nella creazione di società off-shore, i giornalisti dell'Espresso sono incappati nel nome di Rodolfo De Benedetti, il figlio del loro editore Carlo De Benedetti e presidente del gruppo Cir, la holding che controlla il settimanale e anche il quotidiano la Repubblica.

La novità è emersa nella terza puntata dell'inchiesta sulla più grande fuga di notizie finanziarie della storia che l'Espresso condivide con 190 giornalisti di 65 paesi, parte dell'International consortium of investigative journalists (Icij), il network che collabora per smascherare corruzione e crimini transnazionali grazie al supporto di specialisti, esperti informatici e legali. Il nome di De Benedetti jr è comparso per la prima volta ieri sul giornale on line del gruppo accanto a quelli di decine di altri imprenditori e professionisti più o meno sconosciuti con la passione per i paradisi fiscali, a scandalo ormai sgonfiato, per disinnescare la notizia limitando i danni. Ampio risalto alla replica dell'interessato: «Il mio nome compare in quanto consigliere di amministrazione. Da sempre dichiaro tutti i miei redditi e pago le tasse in Italia». L'Espresso racconta che il nome di Rodolfo De Benedetti è finito tra i Panama Papers in quanto collegato alla McIntyre holding Ltd, di cui era amministratore ma non beneficiario economico, registrata nel 1995 da Mossack Fonseca alle isole Vergini britanniche. Una off-shore che non faceva parte del gruppo Cir. Il figlio di De Benedetti spiega che la società è stata chiusa molti anni fa: «Si era occupata di investimenti finanziari nel continente americano gestendo antichi risparmi di famiglia e la posizione di questi ultimi fu regolarizzata con il fisco italiano nel 2003». Allo stesso anno risalgono le sue dimissioni da amministratore.

Dopo la prima carrellata di nomi eccellenti, tra cui quelli del premier inglese David Cameron e del presidente russo Vladimir Putin, i file di Panama Papers continuano a riservare sorprese. Ai 200 già pubblicati, l'Espresso, che dell'Icij è partner in esclusiva per l'Italia, ne aggiunge ora altri 80. Soltanto una parte dell'enorme mole di documenti riservati consegnati un anno fa ad un giornale tedesco da un informatore segreto e poi condivisi dalla rete internazionale di reporter. Spuntano Silvio Garzelli, manager con alle spalle una lunga carriera nella Ferrero, l'immobiliarista Daniele Bodini, residenza a New York e un seggio alle Nazioni Unite, e Domenico Bosatelli, il fondatore della Gewiss, una nota società bergamasca di domotica e impianti quotata in borsa. C'è poi il commercialista Gabriele Bravi, già coinvolto in un'inchiesta di riciclaggio della Procura di Milano per i suoi rapporti con il barone Filippo Dollfus de Volkesberg, un nome noto della finanza «creativa», considerato il fiduciario dei vip, arrestato nel 2015 per aver aiutato molte ricche famiglie italiane a nascondere al fisco i propri patrimoni. Ci sono anche tanti anonimi investitori nell'archivio di chi ha scelto rifugi off-shore.

Rossella Raiola, per esempio, ha un'azienda di costruzioni che si è aggiudicata diversi appalti pubblici in Campania. Raffaele Raiola, invece, è noto per aver rilevato nel 2011 un ramo d'azienda del gruppo di costruzioni Btp di Riccardo Fusi, amico di infanzia di Denis Verdini.

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