Il primo novembre 2023 è coinciso con due eventi apparentemente decorrelati tra loro, ma in realtà strettamente interconnessi. L'Unione europea, da un lato, ha celebrato i trent'anni dall'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, dall'altra parte a Roma si è insediato il nuovo governatore della Banca d'Italia, Fabio Panetta. Il trait d'union è la necessità di personaggi che sappiano rappresentare la comunione d'idee di 27 Paesi, la loro ragione d'unità.
E Fabio Panetta può essere una figura ad hoc per quest'arduo compito. È stato infatti il consigliere Bce che si è incaricato di dare una nuova vita all'euro con la sua declinazione digitale, che in questi giorni è giunta alla sua fase preparatoria. Se la moneta unica avrà una sua versione dematerializzata mantenendo la sua funzione, lo si deve proprio al neogovernatore che ha portato avanti negli ultimi anni un lavoro certosino, senza farsi condizionare dalla moda delle criptovalute verso le quali ha espresso sempre dubbi e contrarietà. Avere un euro nel portafogli o nel proprio smartphone con standard sempre garantiti dalla Bce sarà un'avventura entusiasmante.
E ugualmente entusiasmante appariva il primo novembre 1993 la navigazione del Trattato di Maastricht. Finalmente l'Europa era riuscita a darsi regole comuni di bilancio per preparare il terreno a quella che poi sarebbe stata la valuta comune. Per quanto il tetto del deficit/Pil annuo al 3% e quello del debito/Pil non avessero poi basi scientifiche solide, ma venissero fuori dall'empirismo della pratica politica, un vincolo esterno che ponesse tutti sullo stesso piano non si sarebbe potuta definire certo un'idea malvagia.
I fatti si sono tuttavia incaricati di smentire le premesse. Rispetto a quelle regole alcuni Paesi erano «più uguali» degli altri. Nella «fattoria degli animali» dell'Ue Germania e Francia non contano quanto gli altri. E nel 2003 (appena dopo dieci anni), complice un fin troppo benevolo Romano Prodi, poterono sforare il tetto del 3% per tre anni senza che nessuna procedura per deficit eccessivo fosse avviata.
Ma è dal 2013 (cioè dal ventennale del Trattato) che la situazione ha decisamente iniziato a peggiorare. Dalla doppia crisi, quella dei subprime e quella del debito sovrano, Bruxelles è uscita con i codicilli (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack) e le pandette (la direttiva Brrd per la risoluzione automatica delle crisi bancarie con la compartecipazione di depositanti e obbligazionisti). I «falchi» a comandare e le «colombe» gravate da un debito peggiorato dalla congiuntura a cercare di schivare i colpi per non finire commissariate come la Grecia.
Ecco, in questo dibattito Panetta è sempre stato dalla parte di Mario Draghi nella misura in cui moneta unica e politica di bilancio devono prevedere meccanismi in grado di evitarne l'autodistruzione. E questa posizione il neogovernatore l'ha difesa ad alta voce contro il presidente Bundesbank Weidmann in un ricevimento all'ambasciata tedesca a Roma. E lo ha fatto anche più di recente, invitando Madame Lagarde a «non guidare come un pazzo a fari spenti nella notte» alzando continuamente i tassi.
Panetta è un banchiere pragmatico, un accademico in materia di regolazione dei mercati finanzieri, ma è pur sempre un economista consapevole che gli aggiustamenti di bilancio non possono compromettere la crescita. Sostenere queste posizioni da Roma anziché da Francoforte sarà un po' più complesso.
La partita della riforma del Patto di Stabilità vedrà in campo il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, ma su questo punto c'è chi parla la stessa lingua e non solo per un fatto di nazionalità. Poi, il risultato dipenderà da molte variabili. Ma tanto più prevarrà il buon senso tanto maggiori saranno le speranze di celebrare il quarantesimo di Maastricht.
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