La più grande centrale solare del mondo, estesa su una superficie equivalente al nostro lago Trasimeno, rifornirà di energia elettrica la città-Stato di Singapore, una delle più ricche metropoli del Sud-est asiatico. Una svolta «verde» che ridurrà di un quinto il grande consumo di petrolio della piazza finanziaria che sorge su un'isola all'estremo sud della Malesia, e che conta quattro milioni di abitanti. C'è però, in questa storia edificante resa nota dal Times di Londra, un particolare tutt'altro che secondario: Singapore è troppo piccola e sovrappopolata per ospitare una struttura di tali dimensioni, sicché la centrale che la rifornirà verrà costruita nella lontanissima Australia e sarà collegata all'isola-Stato tramite un elettrodotto sottomarino lungo la bellezza di 3.700 chilometri, anch'esso un nuovo primato mondiale. Una sfida tecnologica non da poco, ma il gioco sembra è davvero il caso di dirlo valere la candela.
L'idea di mettere in piedi il progetto Sun Cable, del valore stimato di circa dodici miliardi di euro, è venuta a due degli uomini più ricchi dell'Australia, il magnate del ferro Andrew Forrest e il cofondatore dello sviluppatore di programmi informatici Atlassian, Mike Cannon-Brookes. Quest'ultimo, in particolare, sostiene da tempo la necessità che l'immenso Paese dell'Oceania, che è il principale esportatore mondiale di carbone, trovi nelle energie rinnovabili il suo nuovo Eldorado, e si è trasformato in una spina nel fianco del governo, denunciando come «ridicole» le dimensioni dei suoi piani per la riduzione delle emissioni di gas serra.
Il sole, in particolare, è una risorsa talmente abbondante nella rovente Australia da giustificare secondo Cannon-Brookes e il suo socio grandiosi investimenti per un suo sfruttamento su scala gigantesca a fini di produzione di energia elettrica.
Ed effettivamente di numeri giganteschi stiamo parlando. Per rifornire a partire dal 2027 Singapore di energia pulita, cominceranno tra poco più di due anni lavori per realizzare presso Elliott, in una zona semidesertica dello spopolato Territorio del Nord australiano, un parco solare che arriverà a contare oltre 22 milioni di pannelli. Sulla sua superficie di 130 chilometri quadrati troverà spazio anche un colossale accumulatore, che avrà il compito di regolare la potenza dell'energia prodotta dal sole che brucia per tutto l'anno in questa regione desolata nel cuore dell'Australia. Quando la produzione avrà inizio, un cavo ad alto voltaggio lungo circa 800 chilometri correrà nel deserto fino a raggiungere il porto di Darwin, che si affaccia sul vasto Mare di Timor che divide l'Australia dall'arcipelago indonesiano, e altri 3700 chilometri di cavo sottomarino più in là, verso nord-ovest, da Singapore.
La gigantesca impresa del Sun Cable darà lavoro a partire dai primi mesi del 2023 a millecinquecento persone, e rifornirà di energia elettrica non inquinante circa un milione di residenti di Singapore. Tutto sole quel che splende? Pare di no. Immediatamente sono partite le polemiche anche su
questo progetto avveniristico. C'è chi ricorda che il costo di un paio di centrali nucleari sarebbe molto inferiore e abbatterebbe analogamente il consumo di carbone e petrolio. Chi fa presente che le centrali solari funzionano soltanto quando il sole risplende (anche se questo non sembra il problema principale dell'assolato interno dell'Australia). E infine chi malignamente rinfresca la memoria su chi sono gli abituali partner d'affari di Andrew Forrest: i cinesi.
Poco amati in Australia di questi tempi, e non solo per la loro responsabilità nella diffusione della pandemia di Covid-19. È di questi giorni e ne abbiamo trattato ieri sul Giornale la denuncia dell'intelligence australiana della straordinaria invadenza dello spionaggio di Pechino nel Paese dei canguri.
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