Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in un celebre film. E lo sono anche per la destra. Specialmente perché le rivoluzioni culturali partono innanzitutto dall'arma più potente in circolazione: il vocabolario. E c'è un termine, più degli altri, che per anni è stato chiuso nello sgabuzzino degli attrezzi scomodi: Patria. Un vocabolo considerato - a torto -, anacronistico, retrogrado e soprattutto fascista. Il suo peccato originale è essere rimasto incastrato nella triade-pilastro del ventennio tra Dio e Famiglia, tanto da essere divenuto nel corso degli anni un'espressione tabù, quasi pornografica. Peggio di una bestemmia. Un concetto lasciato fuori dal privé delle anime belle della sinistra progressista, da chi ha già difficoltà a masticare la parola nazione e figurarsi se riesce a cimentarsi con un'idea complessa come la Patria. Sul termine aleggiava un pregiudizio così forte che nel 1991 destò sospetto persino un intellettuale al di sopra di ogni sospetto come Franco Battiato, che pubblicò una canzone poi diventata inno dell'impegno civile dallo scabroso titolo «Povera Patria».
Patria è «la terra dei padri» e capiamo bene che non essendo la terra dei genitori 1 o 2 sia finita nel tritacarne del politicamente corretto. Ma alla fine, dopo anni di oblio, nell'ultimo periodo è tornata a vedere la luce, è uscita dalla clandestinità. Ed è un successo che Giorgia Meloni giustamente rivendica, come ha fatto ieri nella biblioteca del Senato durante il convegno Nazione e Patria. Idee ritrovate. «Non è irrilevante che oggi queste idee siano diventate centrali nel dibattito politico, in quello storico, filosofico, giuridico - ha ribadito la premier -. Così come non è un fatto irrilevante che definirsi patrioti non sia più oggi considerato un appellativo dispregiativo o comunque obsoleto, ma un elemento condiviso e rivendicato praticamente da tutte le forze politiche, incluse quelle che in passato lo ritenevano quasi un'infamia.
È una grande vittoria e sono orgogliosa del contributo che anche noi abbiamo dato in questa direzione».Il paradosso è che sono stati i finti vessilliferi dell'inclusione a escludere la parola più inclusiva di tutte, perché appartiene a ognuno senza essere di proprietà di nessuno, né di destra né di sinistra.
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