Il Pd ammaina lo ius soli e si butta sul biotestamento

Accantonata la legge per opportunità politica: più semplice l'ok al fine vita. Ma i pisapiani mettono in dubbio l'alleanza

Il Pd ammaina lo ius soli e si butta sul biotestamento

Tutto come previsto: sul testamento biologico il Senato accelera, mentre lo ius soli finisce in archivio.

Le ultime settimane della legislatura verranno dunque dedicate all'approvazione di una «legge di civiltà» sul fine vita, come la definisce il Pd, che trova largo sostegno trasversale in Parlamento e anche nell'opinione pubblica. Tant'è che nessuno, neppure nelle opposizioni (fatte salve alcune sparate della Lega e di Fratelli d'Italia), ha alzato barricate contro l'assegnazione della corsia preferenziale al biotestamento, e la discussione in aula è iniziata ieri pomeriggio. L'obiettivo è di votarlo da oggi e di approvarlo, anche con i voti di Mdp e Cinque Stelle, entro la settimana e senza modifiche, anche forzando il possibile ostruzionismo leghista con il metodo del «canguro», in modo da non dover passare per un nuovo voto della Camera. «Siamo in presenza di un vuoto normativo che si trascina ormai da troppi anni su un tema così sensibile. È ora che il Parlamento dia una risposta al Paese», dice il renziano Federico Gelli.

Ma il prezzo da pagare per avere la legge sul fine vita è il binario morto per lo ius soli, che è stato sì inserito nel calendario dei lavori del Senato, ma senza reali possibilità di arrivare in aula, visto che la legislatura verrà con ogni probabilità chiusa a inizio gennaio. Che sarebbe finita così si era intuito da tempo: già alla Leopolda, a fine novembre, Matteo Renzi aveva con chiarezza puntato sulla riforma «possibile» contro quella troppo rischiosa: di ius soli non vuol sentir parlare il centrodestra, i centristi di maggioranza e neppure i grillini. E l'ipotesi di forzarne l'approvazione con un voto di fiducia, come pure era stato sollecitato da alcune parti della maggioranza, incluso il gruppo di Pisapia, si è infranta contro un muro alzato da Palazzo Chigi e Quirinale. «Se la maggioranza ce lo chiede siamo pronti a mettere la fiducia. Ma solo a patto che ci sia la certezza dei numeri», facevano presente dalle parti di Gentiloni. Già, perché una crisi di fine legislatura sullo ius soli è l'ultima cosa che il presidente Mattarella - che vuole arrivare allo scioglimento delle Camere senza strappi e con un governo pienamente in sella e non sfiduciato - possa desiderare.

Nei calcoli del Pd hanno comunque giocato altri fattori, oltre alla lotteria dei numeri: se lo ius soli fosse arrivato in aula, si rischiava di fare un gran regalo alle opposizioni in piena campagna elettorale. Era facile prevedere che Lega e Cinque Stelle sarebbero saliti sulle barricate, mettendo a ferro e fuoco l'aula, il clima in parlamento e fuori si sarebbe infuocato e non si sarebbe parlato che di un tema sensibile come l'immigrazione, su cui cresce l'ostilità nell'opinione pubblica. Il pericolo di rimetterci anche in termini di consenso era altissimo.

La rinuncia allo ius soli crea però contraccolpi nella sinistra alleata potenziale del Pd. Se Giuliano Pisapia è pronto a passarci sopra e a candidarsi (a Bologna contro Bersani, si sussurra), l'ala sinistra del suo gruppo è in piena crisi di nervi: «Abbiamo chiesto che almeno si facesse un dibattito davanti al Paese, in cui ognuno si sarebbe preso le sue responsabilità.

Invece il Pd non vuole parlarne in campagna elettorale», dice l'ex Sel Smeriglio. Senza ius soli niente alleanza, dicono ora. «Non è detto che non ci sia spazio per lo ius soli, se si rafforzano i numeri», prova a rassicurare - senza grande convinzione - il ministro Delrio.

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