L'imminente arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi sta diventando un caso tra le donne del Pd. Una reazione prevedibile, ma aggravata dal fatto che, rispetto a cinque anni fa, è diminuito il numero di democratiche elette in Parlamento.
"Il centrosinistra si è fatto sicuramente superare. La questione femminile, a sinistra, ha prodotto tante elaborazioni politiche, ma pochi fatti da parte del gruppo dirigente", spiega a ilGiornale.it il sociologo e sondaggista Carlo Buttaroni, presidente dell'Istituto Tecné. Quello della Meloni non è un caso isolato. È stato il centrodestra, infatti, a proporre e far eleggere presidente del Senato la forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati, prima donna a ricoprire tale incarico. Ma non solo. Letizia Moratti, nel biennio '94-'96, è stata la prima donna a diventare presidente della Rai, nominata dal primo governo Berlusconi. La prima segretaria donna di un sindacato, invece, non è stata Susanna Camusso, ma Renata Polverini che dal 2006 al 2010 ha guidato l'Ugl. Nella scorsa legislatura inizialmente erano donne entrambe le capigruppo di Forza Italia, Mara Carfagna e Anna Maria Bernini. Oltre a Nilde Iotti, la sinistra italiana pare non essere stata in grado di produrre tante leader donne e, ora, in vista del congresso del Pd, fioccano le candidature femminili. L'ex ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, ha già ufficializzato la sua volontà di correre per la segreteria del Pd, mentre Elly Schlein è la 'candidata in pectore' che, secondo Euromedia Research, potrebbe giocarsela alla pari con Stefano Bonaccini.
La vittoria della Meloni
“Il problema vero non è mettere a capo del partito una donna, ma costruire una leadership al femminile. Sicuramente Fratelli d'Italia l'ha fatto e dobbiamo riconoscerlo”, ammette parlando con ilGiornale.it la deputata del Pd Enza Bruno Bossio che ha mancato la rielezione per un soffio. Secondo l'eurodeputata Alessandra Moretti “avere una premier donna per la prima volta nella storia della Repubblica, è senza dubbio un fatto positivo e che rappresenta oggettivamente l’infrangersi di un tetto di cristallo che ha limitato l’accesso alle più alte cariche istituzionali del Paese”, ma non basta. “Questo non significa che i diritti delle donne saranno garantiti e su questo vigilerà l’opposizione del Pd, prima forza di opposizione nel paese e in Parlamento”, avverte l'eurodeputata che punta il dito sui capi corrente del Pd “tutti maschi” e sulle donne che “devono essere più autonome e non aspettare la chiamata del leader di turno”.
Gli errori di Enrico Letta
Secondo l'ex ministro Valeria Fedeli, però, “contrapporre alla Meloni un'altra donna sarebbe un gioco di specchi che non porta da nessuna parte”. Il problema è più profondo e “il fatto che il Pd continui ad avere solo uomini come leader di partito denota una grande arretratezza politico-culturale”, dice l'ormai ex senatrice. “Solo nel 2013 si è avuto un cambiamento con Bersani segretario. Poi Renzi fece un governo in cui vi era una parità di genere perfetta tra i ministri, ma da cinque anni a questa parte il Pd ha smesso di fare politiche sulle donne”, attacca la Fedeli. L'ex senatrice democratica denuncia, quindi, quanto poco sia stato fatto dall'attuale classe dirigente per sostenere le donne: “La natura miope, autoritaria e maschilista del Pd si è resa evidente quando, nel governo Draghi, i ministri nominati in quota Pd furono tutti uomini”. L'ex ministro non risparmia critiche neppure al segretario Enrico Letta che, sì, ha imposto due donne come capogruppo di Camera e Senato, ma in questa campagna elettorale ha commesso tre grandi errori. “Letta ha fatto tre errori. In primo luogo, ha usato le pluricandidature, ossia donne usate per eleggere degli uomini. Poi, in Regioni come la Puglia e la Calabria non c'era neanche una donna capolista e, infine, nelle postazioni sicure ha messo più uomini che donne facendo diminuire il numero delle donne elette”, spiega la Fedeli, ancora incredula del fatto che solo il segretario Letta abbia ufficializzato la sua uscita di scena, mentre l'attuale gruppo dirigente non si è presentata tutto dimissionario come fece il Pd di Renzi.
L'opzione Elly Schlein
Oggi la speranza, per la sinistra, si chiama Elly Schlein, una donna “brava, seria, che non ha prima chiesto tutele e che è stata capace di prendere voti sia per le Europee sia per le Regionali in Emilia Romagna, senza farsi promuovere da qualcuno”, sottolinea la Fedeli, fermamente convinta che la neo-deputata debba correre da sola e non in ticket con un uomo (Stefano Bonaccini) per la segretaria del Pd, un partito dove “prevale una forte cultura di potere maschile e le donne che emergono – conclude l'ex ministro - non vengono sostenute nei processi successivi”. Ma può bastare al Pd affidarsi a un politico come la Schlein che, al comizio di chiusura della campagna elettorale del Pd, aveva sfidato la Meloni dichiarando: 'Sono una donna. Amo un'altra donna e non sono una madre, ma non per questo sono meno donna'? Secondo il sondaggista Buttaroni “rivendicare un'appartenenza sessuale non risolve i problemi politici anche perché, dalle nostre ricerche, risulta che la stragande maggioranza delle persone non si pone più i problemi dei diritti e che il tema dell'omosessualità non è più oggetto di discussione”.
I sondaggi, quindi, almeno inizialmente, possono pure crescere “ma solo nel momento in cui la Schlein si deve rapportare con il M5S o su temi concreti come il reddito di cittadinanza si capirà se ci sarà veramente consenso attorno alla sua figura”.
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