Dal campo largo al minestrone: il Pd punta tutto sul pareggio

L'alleanza di centrosinistra prende corpo e, fin da subito, è chiaro che Enrico Letta riponga le sue speranze in un accordo con Carlo Calenda

Dal campo largo al minestrone: il Pd punta tutto sul pareggio

Il “campetto larghetto” del centrosinistra inizia a prendere forma. Enrico Letta, dopo aver allontanato la polemica sul candidato premier, si è detto pronto a giocare un ruolo di "front runner" sia nel Pd sia nella coalizione.

"Ho letto ieri, sulle agenzie, la discussione sulla premiership, una discussione che ho trovato surreale", ha detto Letta nel corso della direzione del Pd, forte del fatto che il Rosatellum non preveda che venga indicato il candidato premier. "La narrazione dovrà essere netta e chiara sulle nostre posizioni”, ha aggiunto il segretario del Pd. In sostanza, si parte dal Pd, o meglio dalla lista ‘Democratici e progressisti’. Qual è la differenza? Non un nuovo partito, ma un cartello elettorale (frutto del lavoro delle Agorà Democratiche) che vede la presenza degli esponenti di Articolo Uno, dei centristi di Demos e dei Socialisti di Riccardo Nencini. Una minestra indigesta che diventerà un minestrone dopo che il Pd avrà deciso con quali alleati presentarsi alle Politiche del prossimo 25 settembre. Il ‘boccone’ più appetitoso è rappresentato dalla federazione Azione/+Europa di Carlo Calenda ed Emma Bonino, anche se l'ex ministro dello Sviluppo Economico continua ad avere posizioni ambigue. La speranza dei democratici è che “gli azionisti” accolgano nelle loro fila gli ex ministri azzurri come Mara Carfagna, Renato Brunetta e Maria Stella Gelmini così da rubare voti a Forza Italia. Se, poi, il presidente della Liguria Giovanni Toti facesse il cosiddetto ‘salto della quaglia’, allora l’operazione assumerebbe una valenza ulteriore. “Se la Carfagna entra in Azione e fa l’accordo con De Luca e Mastella, il centrodestra in Campania non tocca palla. Stessa cosa può avvenire in Liguria se Toti fa passa con noi”, mormorano in Transatlantico gli esponenti del centrosinistra.

La terza costola della coalizione sarebbe rappresentata dal progetto politico che stanno cercando di mettere in piedi il centrista Bruno Tabacci e Luigi Di Maio, con il sostegno dei sindaci come Beppe Sala. Il sindaco di Milano, al termine di un incontro col segretario del Pd e col titolare della Farnesina, ha spiegato: “Io non sarò parte di questa partita ma questo l'ho detto molte volte. Da qua a disinteressarmi di un momento così delicato per questo Paese ce ne passa”. Sergio Battelli, esponente di punta dei dimaiani, a ilGiornale.it ha chiarito: “Vogliamo lavorare con il pragmatismo dei sindaci e siamo aperti a tutti coloro che condividono l’Agenda di Mario Draghi che mi piacerebbe se volesse restare a Palazzo Chigi”.

Chiusura netta, dunque, sia ai partiti di centrodestra sia al ‘partito di Conte’. Il M5S, infatti, non è il benvenuto nel centrosinistra anche se il deputato di Articolo Uno, Nico Stumpo, lascia uno spiraglio aperto: “Ci sarebbe bisogno di fare un’alleanza tecnica di tutti nei collegi maggioritari e, - sottolinea a ilGiornale.it - dato che non si possono più fare patti di desistenza, servirebbero candidati che non danno ditate negli occhi a tutti”. I rapporti tra Pd e M5S, però, sono troppo tesi perché possa andare in porto una simile operazione tant’è vero che Conte ha affermato di non essere interessato a un campo "da Calenda a Brunetta", "scarsamente coeso". Il M5s, rilancia Conte, "è pronto a dialogare su un'agenda precisa". Ma poi in serata l'avvocato grillino afferma in diretta sui suoi social: "Alle elezioni saremo soli, saremo il terzo campo ma saremo il campo giusto".

Il grillino potrebbe essere orientato a dar vita a una Unione Popolare italiana, sulla falsa riga di quella nata in Francia per opera di Jean-Luc Mélenchon. Un cartello elettore che vedrebbe coinvolti personaggi come Michele Santoro e Luigi De Magistris e probabilmente Sinistra Italia e Verdi, gli unici due partiti antidraghiani che Letta vorrebbe fossero presenti nella coalizione di centrosinistra. Calenda, però, avrebbe non poche difficoltà ad allearsi con questi due partiti che sono contrari sia al rigassificatore di Piombino sia al termovalorizzatore di Roma e, pertanto, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli potrebbero decidere di abbracciare il progetto contiano di una coalizione a sinistra del Pd.

Porte sbarrate, invece, a Matteo Renzi e alla sua Italia Viva. Forse una vendetta per quanto avvenuto nel 2014 col famoso #Enricostaisereno oppure, semplicemente, son troppe le incompatibilità tra i renziani e i democratici. Sia come sia, al momento un’alleanza non è sul tavolo e Renzi si è detto pronto a correre da solo, ma, intervistato dall'Adnkronos, ha dichiarato:"Ho dato una mano a Letta nel passaggio della sua candidatura a Siena, senza Italia Viva le cose sarebbero andate diversamente in quel collegio. Voglio pensare che la distanza tra noi e Letta sia solo politica e non legata a fatti personali”. Interpellato sulla possibilità di far parte del ‘fronte repubblicano’ immaginato da Calenda, il deputato Gennaro Migliore ci ha detto: “La razionalità vorrebbe che chi la pensa nello stesso modo si metta insieme, anche perché bisogna costruire le condizioni per vincere le elezioni e sconfiggere la destra e portare l’Agenda Draghi nei prossimi cinque anni”. Per il deputato Stefano Ceccanti, esperto di sistemi elettorali, però, il centrosinistra si può giocare la partita anche senza M5S e Iv: “L’Istituto Cattaneo dice che il centrodestra avrebbe il 45% dei voti e il 58% dei seggi, soprattutto perché vince tanti collegi uninominali ma, siccome molti collegi soprattutto al Centro si giocano in 1-2 punti percentuali, l’esito è ancora incerto”.

In cosa spera concretamente il Pd?

In un pareggio. “Al momento stiamo 45% a 35 per il centrodestra, ma la partita finisce in parità se noi riusciamo a rubare il 5% di elettori e, in questo, una buona prestazione di Calenda ci può aiutare”.

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