Il pensionato cadavere nel pozzo. "Segregato dai familiari per soldi"

Il Riesame dispone il carcere per la figlia e il genero. E anche per la moglie scatta l'accusa di sequestro

Il pensionato cadavere nel pozzo. "Segregato dai familiari per soldi"

Piangeva e implorava di vedere i suoi amici. Ma moglie, figlia e genero glielo impedivano. E lo hanno lasciato morire, per poi nascondere il suo corpo in un pozzo, sigillandolo con una lastra di marmo pesante 120 chili per continuare a percepire la pensione.

È agghiacciante la fine di Giuseppe Pedrazzini, l'anziano di 77 anni tenuto segregato nella sua casa di Toano (Reggio Emilia) per motivi economici dai familiari. L'uomo sarebbe stato tenuto isolato da gennaio a marzo, data della sua presunta morte, quando sarebbe stato avvolto in un lenzuolo e gettato nel pozzo. Le parole di un nipote aggravano la posizione della moglie della vittima, Marta Ghilardini, indagata insieme alla figlia Silvia e al genero, Riccardo Guida, per sequestro di persona, soppressione di cadavere e truffa ai danni dello Stato, per aver percepito la pensione dell'anziano anche dopo la sua morte.

Il tribunale della Libertà di Bologna, a cui si era rivolta la Procura reggiana che coordina le indagini, impugnando l'ordinanza del Gip, ha disposto la custodia cautelare in carcere per Silvia e il marito, al posto dell'obbligo di firma e di dimora a cui erano sottoposti. Nei confronti della vedova, Marta Ghilardini, rimane l'obbligo di firma e di dimora, ma per lei si estende al sequestro di persona. Le misure cautelari sono sospese e non esecutive fino a quando non diventano definitive, cioè fino a una decisione della Cassazione su un eventuale ricorso delle difese.

Erano stati proprio gli amici di Giuseppe a lanciare l'allarme. Non sapevano più che fine aveva fatto e avevano chiesto spiegazioni alla sua famiglia, che aveva risposto di non vederlo da mesi. Ma le spiegazioni erano state troppo vaghe e poco convincenti e gli altri si erano rivolti alle forze dell'ordine. I tre indagati avrebbero anche mandato mail ai carabinieri facendo apparire il 77enne come mittente.

«Dalle indagini dei carabinieri di Reggio Emilia - sottolineano i giudici (presidente estensore Rocco Criscuolo) - emerge l'assenza di ogni remora da parte di Silvia Pedrazzini e Riccardo Guida nel dar esecuzione a un progetto criminale come quello di cui è stato vittima il 77enne, lasciato morire, senza alcuna assistenza sanitaria, nella propria abitazione sebbene, quantomeno negli ultimi giorni prima del decesso le sue condizioni fossero di molto peggiorare». E ancora il tribunale sottolinea «l'anteposizione del soddisfacimento degli interessi economici a ogni forma di umana solidarietà nei confronti di uno stretto congiunto», «il mantenere fermi i propositi criminosi che li hanno indotti ad agire per svariati mesi», la «scelta di occultare le prove dei propri misfatti», sbarazzandosi del corpo gettandolo in un pozzo e poi di inquinare le indagini. Sono tutti elementi che rivelano la determinazione degli indagati «a non consentire un regolare svolgimento dell'attività istruttoria e l'accertamento della verità».

In particolare i due hanno dimostrato «totale disprezzo per l'altrui vita» e poi «spregiudicatezza e temerarietà fuori dal comune» senza «palesare alcuna titubanza o ripensamento». Per questo, secondo il Tribunale, devono andare in carcere al fine di scongiurare la commissione di ulteriori condotte criminose.

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