"Perché noi sì e la Boschi no?"

Se lo chiedono Nunzia De Girolamo e Francesca Barracciu, costrette a lasciare i loro incarichi mentre il premier Renzi, il governo e tutto il Pd difendono a spada tratta il ministro Boschi

"Perché noi sì e la Boschi no?"

Nunzia De Girolamo, Francesca Barracciu e Maria Elena Boschi. Tre donne e due misure. Parafrasando il noto adagio si comprende perché Matteo Renzi sia finito nel mirino dell’ex ministro del governo Letta e del suo ex sottosegretario alla Cultura per il diverso trattamento che sta riservando alla sua fedelissima "ministra" delle Riforme travolta dal fallimento della Banca Etruria, di cui il padre per un certo periodo è stato vicepresidente.

“Caro @matteorenzi con @EnricoLetta #staisereno tutto è cambiato. Hai cambiato tu le regole e oggi non puoi far finta di niente su #Boschi”, ha scritto su Twitter la De Girolamo che aveva già rilasciato un'intervista al Corriere della Sera nella quale ha attaccato duramente il premier: "Qua siamo all'apoteosi del doppiopesismo di Renzi. Due anni e mezzo fa, neanche le parole di Giancarlo Caselli in difesa della Cancellieri gli bastarono. Scoppiò il caso Ligresti e lui chiese le dimissioni dell'allora ministro. Anche nel gennaio del 2014, quando io ero vittima della macchina del fango senza essere indagata, disse che la mia uscita dal governo era una 'questione di stile". Secomdo la De Girolamo la differenza tra il suo caso e quello della Boschi è che "allora Renzi non era premier. Anzi, si muoveva per far cadere il governo Letta".

La Barracciu ha, invece, espresso il suo disappunto dalle pagine del Tempo. “Essere indagati o subire un rinvio a giudizio non sono una condanna, ma la mia formazione politica mi impose di dare le dimissioni”, ha spiegato l’ex sottosegretario ai Beni Culturali e al Turismo che ha lasciato il suo incarico nel governo Renzi dopo essere stata rinviata a giudizio nell’inchiesta sulle spese della Regione Sardegna. “Per il mio livello di coscienza politica il rinvio a giudizio non è una condanna - prosegue la Barracciu - sono e resto una garantista, ma è un livello più problematico della sola indagine”. “Le dimissioni da sottosegretario - ricorda l’esponente dem di stretta fede renziana - non sono state il mio primo passo indietro, ma il secondo: nel 2013 vinsi le primarie per la presidenza della Regione. Come tale mi addormentai e sei ore dopo mi svegliai indagata per la questione dei fondi ai gruppi: ci fu una lunga battaglia e alla fine la coalizione ed anche un pezzo del partito, misero in campo la questione della Severino. Il centrosinistra sardo mi incalzò in modo duro e io decisi di non correre”. “Immagino che Il Tempo abbia voluto scrivere un articolo su di me perché devo essere l’unico caso nella storia della Repubblica di un politico che si dimette per un rinvio a giudizio”, scherza la Barracciu che ricorda come non fu Renzi a chiederle di dimettersi.

“È stata un’azione nelle mie corde, - precisa l’ex sottosegretario - tanto che quando Renzi mi chiamò al governo e si era ancora nella fase di indagine io affermai pubblicamente che se fossi stata rinviata a giudizio mi sarei dimessa. E ho tenuto fede alla mia dichiarazione, perché credo che sia quello che si deve fare”, ma, una volta chiarito tutto, “tornerò alla politica a testa alta”, assicura la Barracciu.

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