Piantedosi, l'esperto della macchina Viminale. Quei decreti sicurezza scritti insieme a Salvini

La Cancellieri lo volle vicecapo di gabinetto: "È uno che risolve i problemi". Rigoroso e freddo, ha lavorato con il Capitano ma anche con la Lamorgese

Piantedosi, l'esperto della macchina Viminale. Quei decreti sicurezza scritti insieme a  Salvini

Una sorta di tarantiniano «mister Wolf». Uno che «risolve problemi», e che soprattutto «non li crea». La definizione del nuovo ministro dell'Interno, il 59enne Matteo Piantedosi, irpino nato a Napoli, è di Anna Maria Cancellieri, quando entrambi erano in servizio a Bologna, lei commissario straordinario e lui viceprefetto vicario. E quando lei diventa ministro dell'Interno col governo Monti, chiama Piantedosi come vicecapo di Gabinetto. E al Viminale Piantedosi tornerà poi, dopo essere stato vice capo della Polizia, come capo di gabinetto e alter-ego di Matteo Salvini, un ruolo che ricoprirà, per un po', anche quando ministro dell'Interno diventerà Luciana Lamorgese.

Ora, al Viminale, comanda lui, dopo l'esperienza da prefetto di Roma: ministro dell'Interno nel nuovo governo Meloni. Tecnico, ma graditissimo alla Lega di Salvini, che pure non ha mai nascosto l'ambizione di ottenere lui quell'incarico. Ma di fatto cambia poco, tra i due Matteo, anche se uno è campano, l'altro lombardo. Uno un politico appariscente e social, l'altro un servitore dello Stato amante del basso profilo. Nei fatti, Piantedosi ha già guidato quel dicastero nel governo giallo-verde, come una sorta di ministro ombra, al fianco di Salvini: il primo radicato negli uffici del Viminale per tenere ferma a dritta, da tecnico, la barra del programma di governo su sicurezza, immigrazione, sbarchi; il secondo impegnato a dettare quella linea e a promuovere il «nuovo corso» sul fronte politico, anche a colpi di selfie e fuori dal ministero.

La controprova si è avuta all'epoca della linea dura sugli sbarchi. Voluta dal governo Conte e da Salvini e condivisa dal capo di gabinetto. Che tra estate 2018 e primavera 2019 si ritrova indagato per lo stop allo sbarco della Diciotti e poi per il no opposto alla Alan Kurdi della Sea Eye. Ma i guai giudiziari non lo sfiorano. Imperturbabile e freddo di carattere, non si scompone. Difende gli input mandati dal Viminale per stoppare gli sbarchi, non si smarca dalla catena di comando, si dice «sereno, tranquillo, determinato», pronto a rifare tutto, non scarica sul ministro. La sua posizione viene archiviata, ma quel frangente finisce per rafforzare il suo legame con Salvini.

Come ovviamente anche la condivisione della linea da tenere su sbarchi, immigrazione e sicurezza. Anche da prefetto della Capitale, negli ultimi anni, ha mostrato che il suo credo è la legalità: è di pochi giorni fa lo sgombero di case popolari a Ostia occupate da esponenti del clan Spada, un gesto per «liberare le periferie dalla morsa della criminalità», come riporta la nota della prefettura che ha ritwittato. Non stupisce, insomma, che oggi Salvini plauda alla sua scelta e ricordi: «Abbiamo scritto insieme i decreti sicurezza sui porti chiusi». Un «tecnico leghista», insomma, un profilo moderato e istituzionale che assicura al Carroccio, e alla Meloni, la piena condivisione del programma del nuovo governo sul contrasto all'immigrazione clandestina, al terrorismo e alla criminalità, e la sua declinazione entro binari tecnicamente e istituzionalmente corretti.

E poi, se sulla chiusura dei porti e sulla linea dura come la pensa Piantedosi lo sappiamo già, va anche detto che il blocco navale proposto dalla Meloni e «ammorbidito» nel quadro di una missione navale Ue interverrebbe a monte, bloccando le partenze, non gli arrivi, direttamente dai Paesi d'origine.

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