Positivi nascosti e senza protezioni. La Finanza perquisisce il Don Gnocchi

Circa 140 gli ospiti uccisi dal virus nella struttura sanitaria. L'accusa dei dipendenti: "Dicevano di non usare le mascherine"

Foto di repertorio
Foto di repertorio

Non solo le disposizioni sul contagio partite dall'Azienda sanitaria territoriale (Ats) e da Regione Lombardia e la corrispondenza (compresa quella informale) con i medesimi enti. Ma anche registri, fascicoli personali, cartelle cliniche, bozze, agende, carte di lavoro e tutta la documentazione online, con relativo sequestro di pc, per un periodo che va da gennaio in poi, sia in relazione alla delibera dell'8 marzo sul trasferimento di pazienti Covid-19 nelle case di riposo che sulle indicazioni fornite alle strutture sui rischi dell'epidemia. Materiale a cui si aggiunge l'elenco dei tamponi effettuati su ospiti e personale e le esatte disposizioni impartite dalla cooperativa di lavoratori socio sanitari Ampast.

Erano attese da un po' le perquisizioni effettuate ieri dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano nelle sedi cittadine e dell'hinterland dell'«Istituto Palazzolo Fondazione Don Carlo Gnocchi», la struttura sanitaria che accoglie anziani, malati di Alzheimer e pazienti in hospice coinvolta nell'inchiesta del dipartimento Ambiente e salute della Procura di Milano guidato dall'aggiunto Tiziana Siciliano sui numerosi decessi avvenuti nelle residenze sanitarie assistenziali lombarde. Del resto a inizio aprile il Don Gnocchi contava un numero di ospiti deceduti da marzo simile a quello del più noto Pio Albergo Trivulzio (la «Baggina»), circa 140.

Ad accusare il direttore generale del Palazzolo, Antonio Dennis Troisi, il direttore sanitario Federica Tartarone e il direttore dei servizi medici socio-sanitari Fabrizio Giunco, indagati per epidemia e omicidio colposo, non ci sono solo le denunce dei familiari dei degenti. Contro di loro avevano puntato il dito già un mese fa anche una ventina di dipendenti, assistiti dall'avvocato Romolo Reboa. Gli operatori, quasi tutti positivi al coronavirus, il 23 marzo avevano denunciato infatti con un esposto il Palazzolo Don Gnocchi per aver «tenuto nascosti casi di lavoratori contagiati, benché ne fossero a conoscenza dal 10 marzo e aver impedito l'uso di dispositivi di protezione individuale», trascinando così nell'inchiesta anche Papa Wall Ndiaye, presidente del consiglio di amministrazione della coop Ampast, anch'essa perquisita ieri. A questo primo gruppo se n'erano aggiunti altri, come l'operatore sanitario assistito dal legale Luca Aliprandi che in un esposto depositato in Procura il 14 aprile spiegava dettagliatamente come una responsabile della cooperativa Ampast, dal 24 febbraio, durante le riunioni organizzative, invitava il personale a non utilizzare le mascherine «per non spaventare i pazienti». Ora le denunce sarebbero una sessantina.

Ampast ha inviato una contestazione disciplinare con sospensione ai lavoratori che hanno denunciato il Don Gnocchi, mentre l'Istituto ha esercitato il proprio diritto contrattuale di non gradimento nei confronti della cooperativa perché quei lavoratori avrebbero espresso «giudizi calunniosi».

«La ricostruzione dei fatti che la magistratura svolgerà sul materiale acquisito contribuirà a confermare la linearità e la trasparenza dei comportamenti degli indagati», ha dichiarato ieri l'avvocato del Don Gnocchi, Stefano Toniolo.

Intanto il sindaco di Milano Beppe Sala chiede alla Regione e ai vertici del Trivulzio «un piano che

permetta di dire alle famiglie a queste condizioni o con questi finanziamenti, in una settimana, la situazione è tornata sotto controllo». E conclude: «Ci sono ancora 700 degenti lì e sono in una sicurezza che non è ideale».

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