Il Ppe aspetta il voto in Germania per decidere come muoversi in Ue. Ipotesi avvicinamento Ecr-Patrioti

La dichiarazione di Stoccolma non cita mai migranti e green. La distanza su Trump e il "nodo" Ucraina

Il Ppe aspetta il voto in Germania per decidere come muoversi in Ue. Ipotesi avvicinamento Ecr-Patrioti
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La data da segnare sul calendario per capire come sono destinati a cambiare gli equilibri europei che a Bruxelles governano Parlamento e Commissione è quella del 23 febbraio. Esattamente tra dodici giorni, infatti, si terranno le elezioni in Germania e il loro risultato condizionerà non poco la politica dell'Ue. Non solo perché parliamo di quello è che di gran lunga il Paese più popoloso dell'Unione, ma anche perché il Ppe - che con i suoi 188 deputati è ampiamente il gruppo più corposo dell'Eurocamera - è notoriamente a trazione tedesca. Insomma, se - come dicono i sondaggi - lo scenario più probabile a Berlino è quello di un governo di grosse koalition tra Cdu/Csu e Spd (magari allargata ai liberali di Fdp e ai Verdi) è probabile che questo abbia delle ricadute anche a Bruxelles, almeno nell'immediato. Inevitabilmente, infatti, finirebbero per ridursi gli spazi di manovra su cui nell'ultimo anno si sono verificate ripetute convergenze tra il Ppe, i conservatori di Ecr e - negli ultimi mesi - i sovranisti dei Patrioti (la cosiddetta «maggioranza Venezuela»), peraltro su dossier cruciali, come immigrazione, green deal e automotive.

Non è un caso che la scorsa settimana la questione sia stata oggetto di confronto nella riunione della presidenza del Ppe (Manfred Weber e i suoi vice, oltre ai capidelegazione) che si è tenuta a Stoccolma. Se i popolari italiani (guidati da Antonio Tajani, che proprio ieri ha annunciato l'intenzione di ricandidarsi alla vicepresidenza nel congresso di Valencia a fine aprile), spagnoli, croati e greci spingono verso destra, un corposo pezzo della delegazione tedesca, gli svedesi e altri nordici sono infatti più inclini a guardare al centro, preservando la cosiddetta «maggioranza Ursula». Così, non è strano che l'incontro nella capitale svedese abbia portato a un documento (Stockholm Declaration) che punta molto su sicurezza, contrasto alla violenza su donne e bambini, lotta al terrorismo, tutela delle infrastrutture informatiche e protezione dalle ingerenze straniere. Tutte questioni centrali, certo. Ma sulle quali c'è anche ampia condivisione, a differenza di altri dossier come l'immigrazione e il green (le cui sorti non sono indipendenti dagli equilibri politici in Germania, dove hanno sede Audi, Bmw, Mercedes, Opel e Volkswagen).

Insomma, per decidere la rotta del Ppe degli anni a venire si attendono le elezioni tedesche. Con un occhio anche a Washington, perché le tensioni sui dazi e il rapporto con Donald Trump rischiano di diventare un elemento di criticità nei rapporti tra i Popolari e Ecr (partito di cui Giorgia Meloni è stata presidente fino allo scorso dicembre). Che al momento sembra restare alla finestra, in attesa di capire quale sarà l'impatto sulle normative in Parlamento. Il Ppe continuerà ad essere disponibile alla «maggioranza Venezuela» su alcuni fronti specifici (a partire da migranti e green, che nella Dichiarazione di Stoccolma non sono mai nominati neanche una volta) oppure - complice la coabitazione con l'Spd a Berlino - anche su questi dossier tornerà a guardare al centro? Una risposta arriverà solo fra qualche mese, quando si sarà formato il nuovo governo tedesco. È allora che si capirà in che direzione sono destinati a muoversi gli equilibri politici a Bruxelles. Perché un rafforzamento della «maggioranza Ursula» potrebbe avere come conseguenza un avvicinamento tra Ecr e Patriots (che insieme contano 162 eurodeputati, 26 in meno del Ppe ma 26 in più di S&d). Al netto dei toni mai urlati dei primi, per altro, conservatori e sovranisti parlano a un elettorato in buona parte sovrapponibile. Con un'unica, reale e grande distanza: il posizionamento sull'Ucraina.

Dovesse cadere quell'ostacolo - nel caso, per esempio, Mosca e Kiev aprissero davvero dei negoziati - non ci sarebbe nessun impedimento a immaginare un coordinamento permanente tra i due gruppi. Ovviamente, lasciando fuori l'estrema destra di Esn dove militano i tedeschi di Afd.

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