Una mano per continuare a vivere. Come aggrappato alla spuntone di una roccia, prima del precipizio, l'ultima speranza prima del buio. La mano di un figlio si posa appena su quella del padre che non può rispondere e mormorare parole, soltanto il respiro, meccanico ma vitale, segnale straziante di una esistenza che sopravvive a se stessa, mentre attorno paura, preghiera, lacrime e medici e infermieri e tulle di luce. Niccolo Zanardi è il figlio. Alex Zanardi è il padre. Le loro mani per continuare un amore naturale, un filo che non può, non deve spezzarsi. Il dolore riassunto in un gesto, il silenzio riempito da quell'immagine dolcissima e, insieme, lacerante. Stavolta non è più un padre che prende per mano un figlio, lo accompagna a scoprire la vita, gli trasmette gli insegnamenti, lo avverte dei pericoli. Stavolta è il figlio che cerca l'appiglio paterno, per rafforzare la propria speranza, per trasferire un sentimento, una sensazione, una sicurezza contro la paura. Alex Zanardi è un corpo svenuto, i medici ne seguono ogni fremito. Niccolo sa che quel corpo è vivo, lo percepisce, lo sente addosso più delle macchine che lo controllano giorno e notte. La mano è il farmaco per tenersi entrambi in vita, Niccolò non può fare altro, non può dire altro, non può piangere, non può urlare al cielo. Non gli resta che la preghiera, due mani giunte, la sua e quella del padre, unione semplice e dunque maestosa, come un ringraziamento di chi ha ricevuto in dono, non soltanto balocchi ma proprio la vita, quella stessa che adesso sembra voler abbandonare chi l'ha creata. Mai Alex ha trasmesso la propria sofferenza, ha risposto al destino vigliacco con la gioia del risveglio, si è rialzato, non più con le gambe, offese, troncate ma con il senso di una esistenza più forte. Niccolò prosegue il messaggio, scrive alle tre di notte parole che mai avrebbe potuto disegnare nella sua mente di ragazzo. Ma ora è il momento di essere figlio e non più semplice e fortunato ventiduenne, ora è il momento di fare intendere al padre di non essersi sbagliato, non in quella curva maligna, non in quell'accidente tragico ma in una creatura che gli sta accanto, senza concedere strazio, senza illustrare il proprio dolore a telecamere e stampa, ma riunendosi al padre con un sussurro: «Io questa mano non la lascio. Dai papà, anche oggi un piccolo passo avanti». Quando aveva tre anni, Niccolò nemmeno comprese quello che era successo al padre al Lausitzring ma nessuno può sapere se quei momenti, quelle ore disperate vissute dagli «altri» non siano ritornate «sue», in questi giorni di veglia. I fotogrammi scorrono come davanti a un treno che fila veloce mentre cerchi di individuare i soggetti, gli attori, di risentirne l'odore e il respiro. Niccolò aspetta, non solleva la mano, ruba il calore del padre, gli regala il proprio. Nel silenzio c'è la presenza, ci sono i segreti, c'è il rimprovero per il tempo non trascorso assieme, invece pensando ad altro, ad altri. C'è il desiderio di cancellare l'assenza. C'è la promessa di restare. Sempre.
Niccolò rivedrà quella fotografia, sarà un attimo esclusivo, personale, privato di sofferenza, non soltanto nel ricordo ma nel tentativo di stringere un'altra volta il destino. «Tutti dicono che mio padre è un esempio di vita come sportivo.
Al contrario io penso che sia un esempio di vita come padre», aveva scritto quando il cielo non aveva tempesta. Le mani di Alex spingevano sui pedali, prima del buio improvviso. Ora sono ferme. Sentono la spinta silenziosa e d'amore di Niccolò. La corsa deve ricominciare.
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