Il premier tradisce gli accordi e apre ai piccoli sull'Italicum

La maggioranza è nei guai. E Renzi scrive ai senatori: modifiche sulla legge elettorale in cambio del nuovo Senato. Il voto finale il 2 settembre

Il premier tradisce gli accordi e apre ai piccoli sull'Italicum

Ieri Matteo Renzi ha preso carta e penna e ha messo nero su bianco l'offerta che da tempo circolava nei boatos di Palazzo: manteniamo la compattezza e sbrighiamoci a sbloccare la riforma del Senato, è il messaggio inviato ai senatori di maggioranza, e poi si potrà passare alla legge elettorale. Su cui sono pronto ad «affrontare i nodi ancora aperti: preferenze, soglie, genere», concedendo alcune delle modifiche agognate dai piccoli partiti e sollecitate anche da settori del Pd. A patto, spiega, di tenere fermi «i punti fondamentali: chiarezza del vincitore, premio di maggioranza proporzionato, principio dell'alternanza». In cambio, secondo le indiscrezioni trapelate in serata, il governo sarebbe pronto a recepire poche e mirate modifiche per arrivare alla pausa estiva l'8 agosto solo con le dichiarazioni e puntare al voto il 2 settembre.

La lettera serve da una parte a spronare i suoi, stremati da un tour de force di cui non si vede ancora l'uscita, dall'altra a mettere alle strette anche la minoranza anti-riforma, infilandola sempre più nel ruolo dei «gufi» che fanno ostruzionismo contro il cambiamento, chiamandoli con sarcasmo «i presunti difensori delle istituzioni». E spiegando che «vedere il Senato costretto a perder tempo senza poter discutere in modo civile ma attraverso emendamenti burla è triste».

L'apertura sull'Italicum viene applaudita dalla minoranza Pd (il primo è Stefano Fassina) e dall'Ncd, ma suscita irritazioni dentro Forza Italia. E qualcuno insinua il dubbio che il fine ultimo di Renzi resti quello di andare al più presto al voto, con una legge elettorale modificata per blindare la maggioranza (con tanti saluti al patto del Nazareno), per affrontare con un Parlamento più «renziano» la resa dei conti sull'economia e anche l'elezione del prossimo capo dello Stato.

Sulla riforma del Senato, comunque, opposizioni si sentono effettivamente in difficoltà: «Li vediamo anche noi i sondaggi e sappiamo che Renzi è bravo a mandare i suoi messaggi e a farci passare per i paladini del Palazzo che fanno le barricate per la poltrona contro il cambiamento», sospira uno dei «resistenti». Tanto che in serata, dopo l'ennesimo agitato summit a Palazzo Madama tra «dissidenti» Pd (Chiti, Tocci, Corsini, Mineo), Sel, grillini, leghisti e dissidenti di Forza Italia (Minzolini), Vannino Chiti si fa promotore di una mediazione con Palazzo Chigi offrendo un ramoscello d'ulivo: noi ritiriamo il grosso degli emendamenti se tu ritiri la tagliola, fai qualche apertura (su immunità e referendum) e rimandi a inizio settembre il voto finale sul disegno di legge. La proposta, spiegano a Palazzo Chigi, è vista di buon occhio dal governo: «Vogliamo portare a casa le riforme, se chiedono una settimana in più nessun problema». Anche se Renzi resta scettico: «Voglio vedere se Sel e grillini sono disposti a fare il passo indietro: la proposta ha senso solo se loro ritirano gli emendamenti o continuano a bloccare tutto». Ma il premier, che legge i sondaggi, si mostra assai sicuro: «Si sono messi in un cul de sac da soli, gli ostruzionisti: hanno tutta l'Italia contro. Siamo disponibili a dargli una mano per uscirne, ma mollino gli emendamenti».

Intanto, il premier ha ben altre gatte da pelare: un faccia a faccia con il ministro Padoan sul dl Sblocca Italia; un incontro con D'Alema sulla partita ancora in alto mare delle nomine Ue; una conference call con Obama, Merkel, Cameron e Hollande sui molteplici fronti di guerra che si

stanno aprendo tutt'intorno all'Europa. A sera, da Palazzo Chigi parte l'ultimo tweet : «I gufi, le riforme, i conti non mi preoccupano, la Libia sì. Ma sembra impossibile parlare seriamente di politica estera. Piccinerie».

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