La Meloni in Ungheria difende Dio e la famiglia

La Meloni: "Tutto ciò che ci definisce è sotto attacco. E senza identità siamo numeri per chi ci vuole usare"

La Meloni in Ungheria difende Dio e la famiglia
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Budapest è uno specchio e un'illusione, va interpretata. È una città che nasconde le sue paure. Qualcuno dice che proprio qui, sul Danubio, Giorgia Meloni abbia svelato i pilastri fondamentali di un partito conservatore. La sintesi sarebbe un Dio, patria e famiglia che suona come uno slogan fuori dal tempo. È che messa così vuol dire veramente poco. Non è che tutto questo non ci sia nel suo discorso, ma è il tentativo di dare una risposta a un vuoto, lo spaesamento di tutti quelli che non si riconoscono nella società globale, dove per paradosso si rischia di disumanizzare l'umano per inseguire un «vitello d'oro» universale. È il dramma della morte di Dio e dei suoi succedanei. Il problema insomma è cosa ci metti in quel vuoto.

È così che Giorgia Meloni si ritrova al Demographic Summit di Budapest, dentro il museo delle Belle Arti, a pochi passi dalla Piazza degli Eroi, a parlare di Dio davanti a un dipinto di El Greco che sembra messo lì quasi per scelta scenografica. È Agonia nell'orto, chiaramente quello del Getsemani, dove Cristo chiede di essere liberato dal calice della paura. «Viviamo in un'era in cui tutto ciò che ci definisce è sotto attacco. Questo è pericoloso per la nostra identità nazionale, per la famiglia, per la nostra religione. Senza questa identità siamo solo dei numeri senza una consapevolezza, strumenti nelle mani di chi ci vuole usare». È qui che parla di Dio. «Difendere le famiglie significa difendere l'identità, difendere Dio, e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà». Il passaggio è forte, perché tirare in ballo Dio fa sempre un po' paura e infatti sulla Meloni cadono le repliche di chi ricorda la laicità dello Stato e di chi l'accusa di integralismo, tanto che la parola Dio rimbalza come un atto di blasfemia nei confronti di chi di Dio non sa cosa farsene. È un rischio politico e culturale, calcolato.

Lo stesso discorso si può fare sulla famiglia e sulle contromisure contro la crisi italiana delle nascite. La soluzione non è l'immigrazione. «I migranti possono dare un contributo alla nostra economia ma è molto importante che i cittadini capiscano che il declino della popolazione non è il nostro destino ma è una scelta». Giorgia Meloni elogia il modello Budapest, molto molto tradizionale: «L'Ungheria ci dimostra che le cose possono cambiare se operiamo con coraggio. Con i suoi provvedimenti, il governo ungherese ha fermato il calo della natalità, ha aumentato il numero dei posti di lavoro e in particolare l'occupazione femminile».

Qui a braccio fa un riferimento a Ginevra, la figlia. «I bambini non sono un limite. Faccio un lavoro molto difficile, non ho molto tempo per organizzare tutto, ma sapete cosa? Sono diventata più forte quando è nata mia figlia. Ora so meglio di prima, che anche se sono stanca e penso voglio smettere, questa non è vita, sto facendo qualcosa per lei. I bambini rendono più forti le donne anche nel loro lavoro».

Il passaggio meno enfatizzato è quello sullo Stato. Fino a che punto può pretendere il posto della famiglia nell'educazione dei figli? È il terzo genitore? La risposta della Meloni è un no netto. «Attenti a non ripetere l'esperimento sovietico. Lo Stato non sostituisce le famiglie.

La rivoluzione ungherese del '56 non era solo contro un potere straniero, ma contro chi cercava di distruggere la base dell'identità delle persone». Ecco, questa sembra un'anomalia nel discorso di Budapest, perché sposta il discorso dalla famiglia alla tutela dei diritti individuali. Lo Stato lasciato fuori dalla porta di casa.

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