«La ripresa dei consumi sarà più lenta di quella del Pil. Secondo le nostre stime, a fine 2022 saremo ancora 20 miliardi di euro sotto il livello dei consumi registrato nel 2019 e il recupero completo arriverà solo nel 2023». Il presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise, ieri nel corso dell'assemblea annuale ha spiegato che la tendenza è influenzata dalla «riduzione del reddito disponibile che a fine 2021 sarà inferiore di 512 euro a persona rispetto al 2019».
Tale situazione, ha proseguito, «spinge le famiglie all'incertezza e al risparmio precauzionale: secondo le nostre stime, gli italiani trattengono circa 40 miliardi di euro per prudenza». Nei primi nove mesi del 2021, ha evidenziato De Luise, «i prezzi delle materie prime industriali sono aumentati del 43%, il petrolio del 55%, il gas naturale del 166%». L'ondata di rialzi si ripercuoterà anche sul potere d'acquisto delle famiglie in quanto «la maggiore inflazione potrebbe sottrarre, in due anni, 9,5 miliardi di euro di consumi: circa 4 miliardi quest'anno e 5,5 miliardi del 2022».
L'analisi di Confesercenti è giunta proprio nel giorno in cui l'Istat ha pubblicato i dati definitivi dell'inflazione di ottobre che è salita al 3% annuo (+2,9% la stima preliminare), trascinata al top da settembre 2012 dall'accelerazione dei prezzi dei beni energetici (da +20,2% di settembre a +24,9%). «Pavloviano» il grido d'allarme delle associazioni dei consumatori che temono serie ripercussioni sulla capacità delle famiglie di resistere ai rincari visto che le spese per i trasporti sono aumentate di 470 euro in un anno.
Ecco perché, secondo De Luise, «sarebbe necessario ridurre il costo del lavoro; purtroppo, però, fino a ora è stato fatto il contrario e, così come descritta in manovra, la riforma degli ammortizzatori sociali comporterà per il settore del commercio, turismo, servizi tecnici e magazzinaggio un incremento complessivo dei contributi di quasi 600 milioni euro, di cui 200 riferiti alle imprese fino ai 15 dipendenti». Insomma, una bocciatura vera e propria per la bozza di manovra che proprio ieri il premier Draghi ha discusso con i sindacati (vedi articolo sopra). «Gli 8 miliardi destinati dalla legge di Bilancio ad alleggerire la pressione fiscale costituiscono una base di partenza molto ridotta», ha sottolineato De Luise rimarcando che «l'inasprimento della tassazione locale ed il ritorno alle tariffe 2019 sarebbero esiziali per tantissime attività del terziario e del turismo, con un maggiore onere per le imprese di circa tre miliardi di euro». Una valutazione condivisa dal viceministro dello Sviluppo economico, Gilberto Pichetto, che ha rimarcato come gli 8 miliardi stanziati dalla manovra per il taglio delle tasse «sono pochi, ne sarebbero serviti solo 13 per abbattere completamente l'Irap». Valutazioni condivise anche da Matteo Salvini («Per me gli 8 miliardi andrebbero tutti a partite Iva e commercianti»), ospite con Giorgia Meloni, Giuseppe Conte ed Enrico Letta dell'assemblea.
L'abbattimento della pressione fiscale servirebbe anche per imprimere una svolta alla ripresa dell'occupazione visto che «nel corso della pandemia hanno perso il lavoro 720mila occupati, e ne sono stati recuperati solo 340mila: meno della metà» a causa del crollo del lavoro indipendenti (-365mila).
De Luise ha infine invitato la politica a disinnescare la bomba concessioni dopo la sentenza del Consiglio di Stato. La proroga solo fino al 31 dicembre 2023 «è un intervento dirompente che rigetta nell'incertezza più profonda 30mila imprese, un settore che vale il 30% del turismo e che dà lavoro a 300mila persone», ha concluso.
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