Un sistema giustizia malato di «organizzazione preistorica»: adesso si scopre che una manciata di giorni prima di lasciare la toga, il Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco - andato in pensione il 17 novembre - ha deciso di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Così nel suo ultimo documento ufficiale, la presentazione del bilancio della Procura milanese per il biennio 2019-2020, Greco parte all'attacco di uno dei grandi miti della giustizia contemporanea, quello dell'informatizzazione, delle riforme hi-tech che dovrebbero portare i tribunali fuori dall'epoca delle scartoffie. E che invece affogano nel nulla, lasciando giudici, avvocati e cittadini alle prese con la giustizia dei loro bisnonni.
È un addio a forte tasso di polemica, perché sulla modernizzazione della giustizia hanno speso le loro promesse generazioni di ministri della Giustizia, compresa l'attuale titolare Marta Cartabia. La ministra ieri era attesa a Milano per partecipare alla presentazione, purtroppo è stata colpita dal lutto della perdita della madre Teresa, spentasi a ottantasette anni nella notte di ieri. Ma al posto della Cartabia è venuto il suo consigliere Gianluigi Gatta, che ha ribattuto senza giri di parole alle tesi di Greco: il processo telematico va avanti eccome, giura il braccio destro della ministra. Peccato che subito dopo arrivino le repliche dei colleghi milanesi di Greco, che confermano e aggravano il quadro descritto dall'ex procuratore, affastellando dettagli tragicomici sul funzionamento delle costose piattaforme elettroniche che dovrebbero governare il flusso delle inchieste e dei processi. E che invece appaiono come una Babele di linguaggi diversi incapaci di comunicare tra di loro, col risultato che il tramonto della carta appare quasi un miraggio: con buona pace dei milioni spesi in quantità ormai incalcolabile per raggiungere l'obiettivo.
«Il costoso e anacronistico paradosso della nostra organizzazione - scrive Francesco Greco - è emblematicamente costituito dal fatto che da tempo si ricevono unicamente file pdf, ovvero nativi digitali, che vengono costantemente e indefessamente stampati per creare il fascicolo digitale cartaceo!». La «riforma del processo penale - conclude Greco - mantiene questa organizzazione preistorica». A quel punto si alza Gatta, l'inviato della Cartabia, che spiega che se ci fosse la ministra sarebbe lei a dire che non è vero niente, e che il processo telematico fa parte a pieno titolo della riforma orgogliosamente varata da via Arenula.
Sarà. Ma se il futuro è (forse) quello, l'attualità è un disastro. Subito dopo prendono la parola i capi degli uffici giudiziari milanesi: il vice di Greco, Riccardo Targetti, che lo sostituisce in attesa del successore, e parla di «logica ottocentesca». Targetti spiega che uno dei sistemi, il Tiap «è già antico», «numerosi atti e procedimenti restano cartacei», un altro sistema «è inutilizzabile per una serie di aspetti», un terzo «si ferma un giorno sì e uno no»; dopo di lui tocca al presidente della Corte d'appello Giuseppe.
Ondei, e qui la cosa si fa surreale perché spiega che i giudici di secondo grado non possono accedere ai fascicoli del tribunale, così tutto deve venire stampato, e lo stesso guaio c'è con la Cassazione. «Che senso ha?», si domanda sconsolato Ondei.Moriremo sepolti dai faldoni giudiziari.
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