Sergei Lavrov ostenta di non darsi pace. Com'è possibile, si domanda, che proprio l'Italia con cui andavamo tanto d'accordo con tanti complimenti a Silvio Berlusconi per il suo nobile sforzo di avvicinamento tra Nato e Russia compiuto ormai vent'anni fa a Pratica di Mare «si sia trasferita nel campo dei leader delle azioni e della retorica anti-russe»? La risposta, per il ministro degli Esteri di Vladimir Putin, non può che essere una: l'Italia si è lasciata imporre una linea di confronto aggressiva dall'Europa e dagli Stati Uniti. Una linea, ça va sans dire, che «non fa gli interessi del popolo italiano».
È la solita modalità del Cremlino: da una parte cerca di blandirci («Ai russi piacciono gli italiani», che «non sono interessati a costruire barriere ma relazioni»), dall'altra ci tratta come minorati che subiscono passivamente le imposizioni altrui. Lavrov non è nemmeno sfiorato dal pensiero che sia proprio il comportamento al di là dell'inaccettabile che la Russia sta tenendo in Ucraina a determinare le nostre scelte, che sono libere proprio come quelle degli altri partner europei. Non deve stupire: tutto il suo discorso di ieri, sul filo di accuse e paragoni storici più deliranti che azzardati, era mirato al solito obiettivo putiniano fin qui miseramente fallito - di dividere il fronte europeo. Al Cremlino sperano che l'Italia sia uno dei punti più deboli di quel fronte, e giocano le loro ultime carte per attaccarlo.
Ieri l'immaginifico Lavrov ha comunque superato se stesso nell'arte di capovolgere i fatti. Ha paragonato l'azione di Joe Biden e dei suoi alleati a sostegno dell'Ucraina a quella dei nazisti del Terzo Reich, vera ossessione propagandistica di Putin. «Gli Stati Uniti e gli europei vogliono attuare una soluzione finale contro la Russia ha detto il capo della diplomazia russa Proprio come Hitler voleva risolvere una volta per tutte la questione ebraica, ora i politici occidentali parlano della necessità di una sconfitta strategica della Russia». Lavrov ha azzardato perfino un paragone con Napoleone, sostenendo che gli americani, dopo aver creato (secondo lui senza che gli europei fossero d'accordo) una estesa coalizione atlantica, stanno ora conducendo «attraverso l'Ucraina» una guerra con un obiettivo da «soluzione finale», con la Russia al posto degli ebrei.
Una ricostruzione dei fatti a dir poco avventurosa, che pretende tra l'altro di individuare nella dirigenza di Kiev inesistenti nazisti e che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha bollato come «stupida banalizzazione della Shoah». Nella sistematica falsificazione inscenata da Lavrov c'è posto anche per le prospettive di pace, attualmente inesistenti come ognuno sa perché tanto a Mosca quanto a Kiev nessuno la considera una priorità.
Per il ministro russo, i colloqui con il presidente ucraino Zelensky sono esclusi non solo per le intenzioni hitleriane degli americani, ma anche perché i suoi piani di pace sono «assurdi e bizzarri», oltre che «dettati dagli occidentali». Ma non da ultimo perché, come ha ripetuto ieri Putin con piglio mussoliniano, la vittoria finale non potrà sfuggire alla Russia.
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