Entra allo stadio Luzhniki di Mosca con passo svelto, sguardo alto, sorridente. Quasi come un divo del cinema. La perfetta rappresentazione scenica del leader di un regime autoritario. Che non a caso ha chiamato a raccolta migliaia di persone a cui sono state fornite bandierine, vessilli, una diaria di 500 rubli (meno di 7 dollari ma da quelle parti non sono pochi), permessi speciali per assentarsi da lavoro e da scuola, oltre cibo e bevande calde per tutti i partecipanti. Dal palco condiviso con generali, militari e plotoni di uomini armati che si sono esibiti sparando qua e là, Vladimir Putin ha recitato il suo solito copione. Quello dell'uomo forte che difende «patria e famiglia» da minacce più immaginarie che reali e ribadisce le sue più che arbitrarie motivazioni per portare avanti una guerra che domani girerà la boa dell'anno di durata. E che si prevede ancora lunga.
«In Ucraina stiamo portando avanti una battaglia per la nostra gente e per i nostri confini storici», ha detto Putin, rilanciando così il vecchio mito della grande Russia. «Tutto il nostro popolo è difensore della patria», ha aggiunto prima del concerto a cui lui stesso ha dato il via cantando l'inno nazionale non prima di aver mescolato concetti patriottici, religiosi e mistici. Un evento così nazionalistico che un militare intonato una canzone rap in cui scandiva «la bandiera rossa sventolerà su Berlino», chiaro richiamo alla seconda Guerra mondiale. Celebrare l'unità di facciata, la coesione, la forza e l'assenza di paura da parte di un gigante azzoppato che continua comunque a spaventare l'Occidente. Ma ha ben chiari anche i propri di timori. Oltre a le voci contrarie che stanno prendendo sempre più piede nell'establishment russo, ieri nei pressi dello stadio sono installati sistemi di difesa aerei per proteggere il presidente e i suoi sodali. Il rischio era l'attacco da parte di droni ucraini, dopo che le forze armate di Kiev sono riuscite a colpire nei mesi scorsi aeroporti e punti strategici in varie città russe. Non a caso dalla metà di gennaio sono spuntate barriere antimissile nel centro di Mosca, in prossimità di tutti gli obiettivi considerati più sensibili come il ministero della Difesa, il Cremlino, l'aeroporto militare di Ostafyevo.
Ma oltre alle parole, alle dimostrazioni muscolari e i proclami più o meno strampalati, quel che più preoccupa sono i provvedimenti adottati da Mosca. Dopo l'annuncio dello stesso Putin, la Duma ha adottato un disegno di legge (naturalmente approvato all'unanimità) per sospendere la partecipazione russa al trattato New Start sul controllo delle armi nucleari. Nel testo, che sancisce il cambio di rotta fortemente voluto dallo Zar, viene sottolineato che la decisione di riprendere la partecipazione al trattato spetta al capo dello Stato. Una scelta volutamente provocatoria verso l'Occidente che il presidente americano Biden ha bollato come «un grave errore». Non solo minaccia nucleare. Putin ha anche firmato un decreto che revoca il provvedimento del 7 maggio del 2012 con le linee guida del Cremlino sulla politica estera di Mosca. E non si tratta di un atto formale. Il documento infatti riguarda anche le relazioni internazionali, in particolare il rispetto della sovranità della Moldovia, con l'impegno ad attivarsi per risolvere la questione della Transnistria sulla base dell'integrità territoriale della Moldova e dell'assistenza attiva per rafforzare Abkhazia ed Ossezia del sud come moderni stati democratici. Il tutto, grazie a relazioni internazionali «amichevoli tra gli Stati sulla base dell'uguaglianza, del rispetto per la loro sovranità e integrità territoriale», sotto l'egida della Nazioni Unite. Tutto nel cestino. L'ennesima svolta autoritaria decisa da Putin non significa necessariamente ostilità contro la Moldavia ma di fatto lascia carta bianca a Mosca.
Proprio mentre il Paese confinante ha denunciato l'organizzazione di un colpo di stato promosso da forze filorusse infiltrate. Forse non il preludio per un'altra invasione in stile Ucraina ma un altro, pericoloso, segnale di una Russia sempre più lontana dalle basi della democrazia.
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