È un lockdown permanente quello in cui sono intrappolati gli inquilini di una delle palazzine popolari di via Dameta, alla periferia Est di Roma. Dodici famiglie in tutto, costrette a vivere in un regime di semi-segregazione già da prima che la curva dei contagi iniziasse a salire vertiginosamente. Il loro incubo si protrae da ben due anni, ed è cominciato con il guasto dell'unico ascensore del condominio.
Un guasto banale, che dipende dall'ostruzione di una grondaia. L'acqua, invece di essere scaricata a terra, si infiltra nelle pareti e finisce nell'ascensore. Insomma, bisognerebbe solo liberare lo scolo eppure, in più di 24 mesi di blackout e denunce, i tecnici del Comune di Roma, che è proprietario dell'immobile, non si sono visti. Immaginate cosa possa comportare tutto questo per i residenti, quasi tutti over 65. Uno dei casi più drammatici è quello della signora Lina, 75 anni, che ci fa largo nel suo soggiorno sorreggendosi alle stampelle. "Da quando i vigili del fuoco sono venuti a staccare la corrente all'ascensore, io - dice sospirando - non esco più di casa, sono agli arresti domiciliari anche se non ho commesso nessun reato". Lina esce solo per andare dal medico, ma ogni volta è un'agonia. I 40 gradini che la separano dal portone, per lei, sono insormontabili. E allora si deve aggrappare al marito, con il cuore in gola e la paura di scivolare ad ogni passo. "Questa - denuncia - non è vita, non ce lo meritiamo, siamo gente onesta e abbiamo sempre pagato le bollette".
Il suo, purtroppo, non è un caso isolato. C'è anche Luigi, che ha 75 anni e la salute precaria. "Sono diabetico, cardiopatico ed ho tre by-pass, non posso più andare avanti così", si sfoga. Affrontare la rampa delle scale, per lui, è come scalare una montagna, dopo pochi passi il respiro diventa affannoso e le gambe iniziano a tremare. E così, spesso si scoraggia. "Esco una volta alla settimana, accompagnato da mia moglie", racconta. Sua figlia, che si chiama Germana ed ha 46 anni, invece, non evade dalle quattro mura domestiche ormai da mesi. È diabetica e cardiopatica, e da quando le sue condizioni di salute si sono aggravate è anche diventata obesa. "Non ho più una vita sociale, mi piacerebbe ricominciare ad uscire, ma come faccio? Solo per fare una rampa di scale ci metto più di mezz'ora". Germana vede gli amici che ritornano alla normalità e sa che per lei è un traguardo ancora lontano. "Il nostro virus - dice - si chiama Comune di Roma". "Se mi dovessi sentire male, con il mio peso, come fanno a portarmi fuori di qui? Io rischio di morire in casa perché nessuno ci aiuta. Ecco, questo vorrei dire al sindaco Raggi, si mettesse nei panni delle persone come me". Sua madre, Antonia, non ci dorme la notte. Le ha provate tutte. Lei è una di quelle condomine disposte a pagare di tasca sua la riparazione dell'ascensore, ma il Comune glielo ha negato: "Ci hanno detto che, se qualcuno si fosse male, la colpa sarebbe ricaduta su di loro, non ci rimane che rivolgerci ad un avvocato".
È critica anche la situazione di Roberto, 76 anni, in attesa di un trapianto del ginocchio che non si riesce ad organizzare. "Dopo l'intervento dovrei iniziare un percorso di riabilitazione motoria, ma se non ho modo di uscire di casa come faccio ad andare dal fisioterapista?". Nella lista delle persone che ogni giorno combattono la loro battaglia silenziosa per la sopravvivenza, c'è anche la signora Maria, 70 anni. Sua madre è quasi centenaria e suo fratello è allettato: "Avrei voluto ospitarli qui da me per accudirli entrambi, ma non posso, così sono costretta a fare avanti e indietro nonostante il lockdown, è estenuante", denuncia. La rabbia è tanta.
"Per noi le restrizioni alla libertà personale sono iniziate due anni fa, vi rendete conto? E nonostante le denunce nessuno ha fatto nulla". La conclusione è amara: "Noi sappiamo che c'è il Comune perché ci manda i bollettini da pagare, per il resto c’è un’indifferenza totale".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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