Joe Biden è convinto che il summit con Xi Jinping sia andato «molto bene», «i colloqui sono stati molto costruttivi e produttivi e sono stati fatti alcuni importanti progressi». Una valutazione decisamente positiva, insomma, quella del presidente americano dopo le quattro ore di faccia a faccia nell'enorme residenza alle porte di San Francisco con il collega cinese. Se il dialogo è ripreso, tuttavia, restano diversi nodi e tensioni, da Taiwan ai rapporti economici, minati per Pechino dalle sanzioni e dalle limitazioni Usa all'export hi-tech, e per Washington dalla mancanza di parità di condizioni competitive. E soprattutto, l'inquilino della Casa Bianca ha pensato bene di gelare il leader del Dragone con una risposta poco opportuna dal punto di vista diplomatico. Nel corso della conferenza stampa al termine del summit è stato chiesto a Biden se sia ancora dell'idea che Xi è un dittatore, come ha affermato lo scorso giugno.
«Lo è - ha spiegato il comandante in capo - È un dittatore nel senso che è alla guida di un Paese comunista, basato su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra». Parole su cui la Casa Bianca ha immediatamente cercato di aggiustare il tiro: «Nessuna preoccupazione, ieri abbiamo avuto delle ottime discussioni, su molti argomenti», ha assicurato il portavoce del consiglio di sicurezza nazionale John Kirby con chi sollevava il timore che i progressi fatti durante l'incontro saranno minati dal commento del presidente. Pechino, però, sembra decisamente meno entusiasta. «Questo tipo di affermazioni sono estremamente sbagliate e rappresentano una manipolazione politica irresponsabile. La Cina si oppone con fermezza», ha precisato la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning senza nominare Biden, sottolineando poi che «ci sono sempre alcune persone con secondi fini che tentano di seminare discordia e rovinare le relazioni tra Cina e Usa, e anche questo non avrà successo». La delegazione che accompagna Xi a San Francisco per il vertice Apec, invece, non ha rilasciato alcun commento. Il risultato più importante del faccia a faccia, comunque, è il ripristino delle comunicazioni al più alto livello, con una linea diretta tra i due leader in caso di crisi, come ha annunciato Biden (ristabilita anche la hotline militare, cancellata da Pechino dopo la controversa visita dell'allora speaker Nancy Pelosi a Taiwan nel 2022).
Intesa con Xi anche per un giro di vite cinese contro la produzione e l'esportazione dei precursori chimici del Fentanyl, l'oppioide sintetico a basso costo che miete decine di migliaia di vittime ogni anno in Usa. Confermato poi l'impegno a cooperare sul clima, e l'intesa per discutere sull'intelligenza artificiale. Nessun progresso, invece, è stato fatto sul delicatissimo dossier di Taiwan: Biden ha detto di aver ribadito la politica americana che riconosce una sola Cina, ma anche di aver messo in chiaro come gli Usa si aspettino che Pechino non interferisca nelle elezioni di Taipei, sottolineando l'importanza della pace e della stabilità nello stretto dell'isola. «La parte americana dovrebbe smettere di armare Taiwan e sostenere la riunificazione pacifica della Cina», ha sottolineato da parte sua Xi: «La Cina realizzerà la riunificazione, e questo è inarrestabile».
Nella conferenza stampa è poi rimasta in ombra la risposta di Xi alla richiesta di Biden di contribuire alla de-escalation sia in Medio Oriente (in particolare facendo pressione sull'Iran perché non allarghi il conflitto) che in Ucraina (in questo caso il pressing sollecitato è anche sulla Corea del Nord).
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