Quei pasticci nelle indagini e l'impronta decisiva

Anche nell'omicidio di Perugia gli stessi problemi. Ma stavolta una prova è spuntata

Quei pasticci nelle indagini e l'impronta decisiva

Un lavoro cocciuto, compiuto risalendo a ritroso tracce vecchie di anni, per colmare le incredibili lacune che accompagnarono nell'agosto del 2007 le indagini sulla morte di Chiara Poggi. La spiegazione dell'esito del processo per il delitto di Garlasco che condanna definitivamente Alberto Stasi dopo che per due volte era stato assolto, si può trovare solo ricostruendo come Laura Barbaini, sostituto procuratore generale a Milano, abbia scavato sul delitto quando il fascicolo è arrivato sul suo tavolo, ormai simile a un cold case. Se ci si fosse accontentati delle ricostruzioni, pasticciate e incongruenti, che gli inquirenti dell'epoca avevano portato in aula al primo processo contro il bocconiano dagli occhi azzurri, l'esito sarebbe stato probabilmente scontato: assoluzione definitiva, e la morte di Chiara destinata a restare senza perché. Invece la Barbaini ha riannodato i fili, ha ripercorso all'indietro la corrente dei fatti e degli indizi. E ha portato in aula, in occasione del secondo processo d'appello, le prove che sono risultate decisive per ribaltare la sorte di Stasi, avviandolo verso una carcerazione da cui solo una improbabile revisione del processo potrà salvarlo prima di avere espiato la pena.

L'andirivieni del processo per la morte di Chiara è certamente destinato a non colmare i dubbi dell'opinione pubblica, e a non chetare le dispute tra colpevolisti e innocentisti: come è accaduto, d'altronde, in una vicenda simile ma dall'esito opposto, l'assoluzione di Raffaele Sollecito e Amanda Knox per l'assassinio a Perugia di Meredith Kercher. Anche in quella vicenda, la sciatteria con cui erano state compiute le indagini saltava all'occhio, quanto e più che nel caso di Garlasco. La differenza è che nel caso di Chiara, la Procura generale milanese non si è accontentata - come accade di solito - del lavoro fatto dai colleghi del primo processo. Si è scavato di nuovo. Alcuni tasselli non sono andati a posto, per colpa del tempo trascorso. Ma altri sono balzati in superficie. Sono stati decisivi perché nel dicembre di un anno fa la Corte d'appello milanese, investita del processo bis, dichiarasse Stasi colpevole. E ieri gli stessi elementi convincono la Cassazione a mettere una pietra definitiva sul caso di Garlasco e sulla morte di Stasi.

Chiara, scrisse la Corte d'appello, era divenuta «per un motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo per bene e studente modello, da tutti concordemente apprezzato». Per la Procura generale quel «motivo rimasto sconosciuto» era invece un movente preciso e determinato, la passione di Stasi per la pornografia, conosciuta e subita da Chiara da tempo, ma ormai fuori controllo, come dimostrato dal contenuto del suo computer. L'esistenza di un movente, da sola, però non bastava a condannare il fidanzato della vittima. Servivano prove concrete. Ed era chiaro che l'unico elemento portato in primo grado contro Stasi, l'assenza di macchie di sangue sulle sue scarpe dopo il ritrovamento di Chiara, e di conseguenza la prova delle sue bugie e delle sua colpevolezza, era troppo affidata a un ragionamento logico per essere sufficiente a incastrarlo. Così le nuove indagini hanno scavato di nuovo, fascicolo per fascicolo, foto per foto. E sono arrivate a individuare il tassello che mancava. È una foto raggelante, l'immagine del corpo senza vita della ragazza: si potrebbe dire che è lei, Chiara, che da morta parla e accusa il suo fidanzato. Perché in quella immagine, incredibilmente tralasciata nei primi processi, la nuove indagini hanno visto il palmo sporco di sangue dell'assassino. Non ci sono solo i segni delle dita, dalle impronte illeggibili. C'è, netto, il palmo della mano. La foto dimostra che chi ha colpito Chiara si sporcò, e molto, del suo sangue.

L'assassino, poi, si andò a lavare le mani nel bagno, si insaponò toccando il dispenser, poi lo pulì dal sangue: ecco il motivo per cui su quel dispense non ci sono le impronte di Chiara, che pure lo usava ogni giorno. Ci sono invece, evidenti, due impronte di un anulare destro. Sono le impronte dell'assassino. Le impronte di Alberto Stasi.

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