Sforzi titanici per riequilibrare la nostra Giustizia col rischio di ritrovarci, ora, dalla padella delle sentenze italiane alle braci delle sentenze europee: perché ci sono almeno tre episodi recenti casi Albania, Almasri e Terra dei fuochi che hanno teso a sorvolare il primato dell'esecutivo e a delineare dei quadri confusionari che i nostri media, per superficialità o inciampo in varie fake news, hanno solo aggravato, o, peggio, hanno trascurato per overbooking di notizie sulle corti che via via sentenziavano. È il caso della «terra dei fuochi» e della fresca sentenza della Cedu (Corte europea dei diritti dell'uomo) secondo la quale, in Campania, lo Stato avrebbe lasciato morire varia gente di tumore dopo aver fatto troppo poco per contrastare l'inquinamento: questo, almeno, si è letto in qualche riassunto giornalistico, perché la sentenza supera le 500mila battute e c'è da chiedersi chi l'abbia letta davvero. Chiunque ci abbia provato, e fosse edotto su una vicenda che si perde negli ultimi quarant'anni, potrebbe essere crollato al suolo: questo per via della spaventosa ignoranza (tecnica) che la sentenza porta con sé.
Va detto, anzitutto, che si tratta solo dell'accoglimento di un ricorso fatto da presunte vittime, le quali per gran parte, si legge, «non sono direttamente colpite dalle presunte violazioni derivanti da un pericolo per la salute», o che sono mancate «prove sufficienti che alcuni dei ricorrenti o dei loro parenti vivessero in aree colpite».
In secondo luogo, la Cedu ha genericamente deciso che vi sarebbe stata una «violazione dell'articolo 2 della Convenzione» (paragrafo 467 della sentenza) che riguarda il «diritto alla vita», inteso come inefficace «gestione dell'emergenza ambientale nella Terra dei Fuochi». A opera di chi? Della criminalità organizzata, e già lo sapevamo: in effetti è vero, nessuno ha bonificato interamente la terza regione d'Italia per popolazione, anche perché nessuno, intanto, l'ha bonificata interamente dalla camorra: si chiede scusa.
Ma che cosa intende, la sentenza, quando parla di «inerzia dello Stato» e della mancanza di «misure tempestive»? Roberto Saviano, sul Corriere della Sera di ieri, subito ha additato «i politici»: ma la sentenza intende, nondimeno, la magistratura e le sue inchieste che hanno combinato poco. Saviano ripete lo stesso copione da vent'anni: lui copiò l'espressione «terra dei fuochi» da un rapporto di Legambiente del 2003, e, da allora, ne è passata di acqua inquinata sotto i ponti: la magistratura, per esempio, da oltre 10 anni ha fermato e impedito coltivazioni sulla base di «anomalie geomagnetometriche», e questo significa che alcuni sensori avevano rilevato qualcosa sotto terra. Quindi hanno poi scavato? Hanno verificato? No, ma il sospetto preventivo è bastato per bloccare terreni, rovinare aziende e criminalizzare filiere produttive. Saviano ha citato dei dati del 2012 e del 2016 secondo i quali la mortalità per tumori, nella terra dei fuochi, sarebbe aumentata del 47 o 11 per cento: ma non ha scritto che gli stessi studi non hanno rilevato nessi causali con l'inquinamento. Ha dimenticato di convalidare, Saviano, che la superficie contaminata corrisponde all'1 per cento della piana agricola (non l'ha detto solo Vincenzo De Luca, ma anche Raffaele Cantone) come hanno già certificato Arpac, Iss, progetto Ecoremed e diverse commissioni parlamentari. Dopodiché deciderà il lettore se fidarsi di Saviano, versione disco rotto, oppure dell'incredibile mole di studi che lo Stato ha dedicato al tema e che sono disponibili su internet: studi che, nella sentenza europea, incredibilmente non compaiono.
E non parliamo solo del volontariato informativo di scrittori come Antonio Di Gennaro, di agrari esperti come Silvestro Gallipoli o della ricercatrice oncologa napoletana Paola Dama, che è di stanza a New York (come Saviano) è che da oltre 10 anni coordina una task force per combattere la disinformazione sul tema; parliamo della commissione del Senato che ha smentito legami diretti tra terra dei fuochi ed emergenze sanitarie straordinarie; parliamo del progetto Enea Campania Trasparente che, con un monitoraggio costante dei suoli, ha ridotto drasticamente l'elenco delle aree interdette e ha dimostrato che la stragrande maggioranza delle coltivazioni è sicura; parliamo del protocollo Ecoremed, sponsorizzato proprio dall'Unione europea, che pure ha dimostrato come in molte zone considerate a rischio non vi fosse traccia di contaminazione significativa.
Insomma, è brutto da dire, sembra assurdo: ma la Cedu ha deliberato come se fossimo fermi al 1996 o al 2013, quando imperversavano le dichiarazioni televisive del pentito camorrista Carmine Schiavone le cui uscite apocalittiche (parlò di scorie nucleari e della morte, entro vent'anni, di tutti i campani) si sono rivelate infondate. Ma è proprio a partire dal 2013 che i monitoraggi hanno rilevato una mancanza di contaminazioni dei suoli e delle falde acquifere, è da allora che i Saviano, come ancora ieri, scrivono che «hanno ucciso» le colture di pomodori, melanzane, carciofi, pesche, mandorle, albicocche e mele: una bugia stra-certificata ma che intanto ha danneggiato spaventosamente il Pil campano, anche perché i consumatori, in tutti i supermercati italiani e non solo, smise di comprare certi prodotti.
Ergo: nei libri, sui giornali,
in tv, in una sentenza ingenua che si è bevuta una narrazione di parte senza che lo Stato italiano, forse, si difendesse a dovere: sono qui gli unici veleni certi, è qui l'unico vero inquinamento ambientale che si respira.
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