Quelle notti di paura protetti solo dalle idee

Per lui il "Giornale" non era una semplice passione, ma divenne una vera "malattia"

Quelle notti di paura protetti solo dalle idee

Pubblichiamo qui un brano tratto dai diari di Gian Galeazzo Biazzi Vergani (apparsi nel volume di Mario Cervi e Gian Galeazzo Biazzi Vergani I Vent'anni del Giornale di Montanelli, Rizzoli 1994) e un suo articolo uscito il 14 giugno 2002 sul Giornale.

29 giugno 1975

In molti salotti milanesi c'è aria di resa. In altri compiacimento. Le madri sono solidali con i figli, assidui frequentatori del cortei extraparlamentari. L'esaltazione di Berlinguer non ha più limiti: ora lo trovano non solo intelligente, ma anche bello. Tutto questo perché le elezioni amministrative del 15 giugno hanno fatto registrare un balzo in avanti del Pci del 6,5 per cento. Un altro dolore per Montanelli, che ha molto patito in questi giorni la rottura della sua vecchia amicizia con Ugo La Malfa. Il segretario del Pri ha «aperto» ai comunisti e favorisce il loro inserimento nell'area governativa. Montanelli non glielo perdona. La lite ha assunto toni accesi e convulsi, inevitabili in due temperamenti forti e passionali come i loro. Al telefono, le invettiva e i reciproci «miserabile» (anzi, da parte di La Malfa, «miserabbbile») risuonano e rimbalzano in tutto il Giornale. La Malfa mi dice: «Montanelli non capisce, non vuole capire. Noi repubblicani dobbiamo restare nel mezzo come i bonzi in Vietnam per evitare l'incendio, il massacro». Alla Same continuano gli scioperi e i tagli di tiratura. Sempre più frequenti le telefonate anonime terroristiche: «Ho messo una bomba nel palazzo. Sta per esplodere».

La bomba non c'è mai, tanto che ho or mai smesso di sfollare. Ma il lavoro viene interrotto per ore, la confusione e la tensione aumentano. Ci aspetta insomma un inverno lungo e difficile. L'altra sera, sul tardi, è venuto a trovarci Nicola Dioguardi, il famoso clinico nostro collaboratore ed amico. Montanelli era in un momento di sconforto. Dioguardi lo ha intuito, ha preso un foglio e lo ha incollato sulla parete dietro la scrivania. Sul foglio aveva scritto: «Quanto più la notte è profonda, tanto più l'alba sarà luminosa». In realtà la notte è profonda e l'alba è lontana. Non ci rimane che il coraggio dell'immaginazione.

25 settembre 1975

Questo giornale non è più solo un lavoro, un impegno, una passione: è ormai un'ossessione. Siamo insieme dal mattino a mezzanotte e poi, ancora, al ristorante per parlare di lavoro. Non si fanno vacanze, la famiglia è passata in secondo piano. Qualche notte Montanelli ed io non chiudiamo occhio per pensieri e preoccupazioni segrete, che teniamo per noi. Certo, si discute, si disputa, si litiga; gli impeti, le speranze, le frustrazioni, i dubbi, i cedimenti sono sentimenti umani, e quindi non estranei al nostro gruppo. Ma sempre prevale la volontà di battersi, di non cedere, di sopravvivere, di vincere la nostra battaglia. Quanto durerà questo slancio generoso? Non lo so, è impossibile dirlo: per ora dura. Quando usciamo, andiamo a controllare le edicole per vedere se il Giornale è bene esposto, e guardiamo con ansia quali gior nali hanno in mano o in tasca i passanti. Se uno ha il Giornale lo avvicina. «Grazie di leggerci», gli dice. E io, se vedo un amico o un conoscente con un quotidiano che non sia il nostro, provo una leggera fitta al cuore. Non è più solo passione: è quasi una malattia.

14 giugno 2002

Caro direttore, ha ragione Carlo Pelanda quando sostiene sul Giornale che una fondazione sarebbe più utile di un manifesto per rilanciare e sostenere la cultura di centrodestra. Ed ha doppiamente ragione quando suggerisce che sia il Giornale - definito «roccaforte del liberalismo da sempre» - a crearne una. Certo, il Giornale ha mantenuto accesa la fiamma dell'idea liberale in un'epoca particolarmente convulsa e difficile, quando a dissentire dalle idee dominanti si veniva definiti fascisti. Ma la sua funzione storica, grazie all'appoggio di Berlusconi e Boroli e all'entusiasmo dei suoi lettori, è stata anche più incisiva. Nessuno ama ricordarlo, ma da questo giornale è partita negli anni '70-80 una vera e propria offensiva revisionista. Con Montanelli, ma non solo con lui. Attorno al direttore si riunì un'équipe di ingegni straordinari e coraggiosi, che si batté per smantellare le ideologie di sinistra dilaganti, in difesa dei valori tradizionali della civiltà occidentale. De Felice per primo, che solo sulle nostre pagine trovò ospitalità, e poi politologi come Bettiza e Cervi, filosofi come Abbagnano e Cantoni, storici come Rosario Romeo, polemisti come Ricossa e Zappulli. E al loro fianco molti scienziati, come il premio Nobel Emilio Segré. E ancora dall'estero unirono le loro voci con contributi di altissima qualità personaggi autorevoli come Aron, Ionesco, Anthony Burgess, François Fejtö, Revel, Benoist. E ancora dissidenti russi, polacchi e jugoslavi, come Frane Barbieri. La tendenza è a dimenticare, ma «chi non ricorda non vive» era solito dire il grande filologo Giorgio Pasquali.

E allora conviene ricordare, alle vecchie e alle nuove generazioni, anche le altre iniziative che hanno caratterizzato l'azione del Giornale in quegli anni. Come la infuocata gestione dei telegiornali di Telemontecarlo, la creazione della casa editrice «Editoriale Nuova» per pubblicare i libri dei nostri scrittori, che faticavano a trovare spazio altrove. E infine il fiancheggiamento politico dei moderati: con le nostre famose «quartine» contribuimmo a far eleggere decine e decine di parlamentari. Così come furono eletti tre nostri autorevoli giornalisti: Bettiza, Sterpa e Zappulli. Tutto questo per confermare la tesi di Pelanda, secondo il quale nessuno ha più del Giornale le carte in regola per creare una fondazione che sia la bandiera della cultura di centrodestra.

Come sai - caro direttore - da tempo io sono convinto che solo una fondazione possa svolgere un'azione veramente efficace, in grado di contrapporsi con efficacia alla martellante offensiva della sinistra. Il manifesto di cui si discute è certamente un buon avvio, un incentivo. Ma la sua azione è destinata a esaurirsi presto, come un flatus voci, se non verrà incardinata e sostenuta da un'efficiente organizzazione che operi nel tempo.

Una fondazione che si dia un minimo di struttura, coordini le varie iniziative, affidi i compiti. Il buon senso suggerisce di farla, e la piattaforma ideale è proprio il Giornale, col suo solido retroterra storico, e il suo prestigio culturale. Il seme ora è gettato. Speriamo che dia frutti.

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