Il giovane Ahmed è un ragazzino che ha ceduto al fanatismo. A una dozzina d'anni bisognerà pur credere in qualcosa e lui aveva un cugino «martire». Parola rischiosa, che oggi non ha lo stesso significato in tutte le lingue. O meglio in tutte le confessioni. E quella di Ahmed era diversa dalla famiglia. Dalla scuola che frequentava. E dall'unica amichetta con cui ha tentato di entrare vanamente in sintonia. Troppo forte il potere di seduzione esercitato da un imam che sembra sovrastare perfino Maometto e il Corano. Catechesi al contrario. È lui a indicargli la strada. Combattere gli apostati a costo di uccidere, siano essi l'insegnante o chissà chi altro. Il Belgio dei giorni nostri potrebbe essere qualsiasi via di qualsiasi città in cui un musulmano vuol seguire la vocazione al martirio. Ed è anche l'asse tematico de L'età giovane di Jean Pierre e Luc Dardenne, premiati a Cannes per la miglior regia, dopo la doppia Palma d'oro per Rosetta nel '99 e L'enfant nel 2005.
Che cos'è l'odio?
«È la perdita della consapevolezza che esiste il male - spiega Luc -. Quando ci si ritiene buoni, puri e veri senza ammettere che anche altri lo possano essere, si è portati a uccidere in nome di quei valori di cui ci si ritiene gli unici detentori».
E i cattivi maestri accendono quelle scintille.
«L'imam scatena in Ahmed proprio l'istinto alla ribellione - continua Luc -. Lo spinge a rivoltarsi contro la madre, il fratello, l'insegnante. Il modello diventa il kamikaze. Sceglie una vita diversa, fondata sulla violenza più che sull'amore perché ritiene di appartenere a una cerchia ristretta dalla quale tutti sono esclusi perché impuri».
C'è il rischio che il ragazzo diventi un esempio di proselitismo su scala sociale?
«Abbiamo visto numerosi Ahmed nelle nostre società. Purtroppo. Sono disposti a uccidere in nome di una visione radicale e radicalizzata della loro religione - aggiunge Jean Pierre -. È innegabile».
Questo accresce la diffidenza?
«Non esistono però soltanto integralisti - corregge Jean Pierre -. Fortunatamente. In Francia e in Belgio ci sono ora seconde e terze generazioni islamiche che hanno deciso di non professare. Laici che si stanno spendendo per contrastare il ruolo tossico e nocivo degli imam nelle moschee».
«L'età giovane» può incoraggiare la tolleranza e dissuadere dal fanatismo religioso
«Il film va visto attraverso gli occhi della madre - spiega Luc - che, come la maestra, tenta di insegnare l'amore. L'intera vicenda è un'altalena tra estremi. L'amore per la vita e quello per la morte ma credo che a prevalere sia il primo. Ahmed ha tredici anni e forse, se fosse stato più grande, sarebbe stata una tragedia».
Dove emerge questo ottimismo?
«Quando si trova in pericolo, il ragazzino chiama la mamma - aggiunge sempre Luc -. Se fosse più avanti d'età non lo avrebbe fatto. Almeno credo. E anche l'insegnante, l'apostata, cessa di essere la nemica giurata che Ahmed voleva uccidere».
Qual è la vostra posizione sulla fede?
«È una questione privata. Credo però che la forza delle nostre democrazie - dice Jean Pierre - risieda in una vita sociale e politica dei nostri Paesi non più dettata dalla religione».
Non è esattamente così in Italia, però. E «L'età giovane» esce pochi giorni dopo «Grazie a Dio» di François Ozon che affronta temi dolenti per sacerdoti e fedeli.
«Sono stato educato con principi cattolici - confessa Luc - e li ho fatti miei per larga parte della vita. Me ne sono allontanato, pur conoscendone bene la profondità. Oggi mi ritengo ateo».
Che cosa apprezza ancora dell'etica cristiana?
«L'uguaglianza delle persone. Un valore bellissimo e condivisibile».
Già, torniamo alla tolleranza.
«Una storia lunga. Forse infinita».
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