Questa non è una lagna (nessuno invoca ridicole censure) ma è una dichiarazione di invidia: perché loro possono e noi no. Loro sono i giornali non marcati come «di centrodestra», i quali possono pubblicare qualsiasi vignetta maschilista, fallocentrica e discriminatoria (si dice «sessista») e noi non possiamo neppure scegliere se pubblicare o no: e non solo perché certe vignette magari le troviamo criticabili, o le troviamo offensive, o non ci fanno ridere, o ci fanno l'effetto che gli emetici hanno per lo stomaco; il punto è che la logica del «più vignette più misure» ha ormai sfacciatamente vinto e noi possiamo solo stancarci nell'elencare le due famigerate domande, la prima: ve lo immaginate se una vignetta del genere, proposte in gran parte dal Fatto quotidiano, (sceglierne una) l'avesse pubblicata Il Giornale-Libero-Il Tempo eccetera? Ve lo immaginate il putiferio, gli esposti all'Ordine dei Giornalisti, le associazioni di stronze e via indignando? Ora la seconda domanda, che non è «ma fa ridere?» riferito alla vignetta in sé, perché si può ridere di tutto, c'è gente che ride fissando il vuoto, che finge di ridere piazzando «emoticon» sul web anche se è tristissima, gente che spara peti e poi sghignazza per un quarto d'ora. E infatti la seconda domanda è questa: è satira, quella? È questo il suo nome? Qual è la sua funzione? Serve a qualcosa? A che cosa?
Ci siamo appena infilàti in un vicolo cieco, lo sappiamo. Abbiamo ripubblicato una e più vignette: solo per questo hanno vinto loro, le vignette, non c'è più nessun dibattito da fare, oppure ecco, il satiri possono farselo tra di loro mentre il resto del Mondo si schifa. Tanto si leggerebbero sempre-le-stesse-cose: la satira deve criticare il potere, la satira non ha confini, non c'entra se fa ridere o no, i politici non sono gli arbitri del buon gusto, roba così. Da decenni la satira è una perfetta immunità per autoproclamazione, satira anche se non ha più nulla della satira, anche se non fa ridere («non siamo mica comici») e satira che significa dire quello che vuoi, su chi vuoi, quando vuoi, come vuoi, e se qualcuno avrà da ridire tu invocherai l'articolo 21, il regime, la censura, perché tu sei intoccabile, tu fai satira, sarai comico ma comiziante, satirico ma tribunizio, giullare ma requisitorio, senza contraddittorio che è roba da giornalisti: un delirio di onnipotenza travestito da missione salvifica, un disturbo narcisistico travestito da sindrome da persecuzione cilena, cose che andavano bene per «Frigidaire» di Vincenzo Sparagna, decenni fa, ma anche no, ogni tanto no, perché qualche vignetta carina ogni tanto c'è. Ogni tanto.
Ci sono un paio di dettagli che non quadreranno mai. Il primo è che qualcuno dovrà pur deciderlo, se tu fai satira o se sei solamente da internare: e questo qualcuno, tu guarda, è proprio quella Magistratura che i satiri (la loro parte politica) invocano di continuo affinché indaghi sull'intero scibile umano. Poi c'è un dubbio storico e inutile: esiste ancora un confine che la critica, e la satira, non devono oltrepassare? Rispostina provvisoria: in Italia è saltato ogni confine tra critica e satira, e l'affacciarsi di Beppe Grillo sul proscenio ne è stato il suggello finale: ormai ci sono giornalisti che si difendono dalle querele invocando il diritto di satira anche se hanno scritto un editoriale. Ne consegue che tutti offendono tutti senza che nessuno (o quasi) si offenda più: nazista, fascista, razzista, sessista, antisemita, mafioso, nano, si dice ogni cosa e le parole svolazzano svuotate di peso: è chiaro che internet in tutto questo c'entra qualcosa, come si dice: hanno aperto le gabbie. Delegare il problema alla magistratura non risolve niente, perché ogni sentenza è una lotteria e perché ci interessa capire che cosa ci offenda secondo il parere nostro, non secondo quello di un giudice. Dunque, da capo: esiste ancora questo confine insuperabile? Diciamo che l'asticella si è alzata parecchio e che ciascuno stabilisce il confine suo: tipo i morti, la famiglia, i difetti fisici.
Quindi guardatevi attorno e decidete se questa è satira: spetta a voi. È come un articolo, può far schifo e basta, a decidere è chi lo pubblica e chi lo legge. A noi fanno schifo, certe vignette. E pure chi le ha fatte. E chi le ha pubblicate. Altro non serve.
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