Valutazioni tattiche, considerazioni strategiche sull'impianto complessivo della risposta europea, e soprattutto una materia di grande complessità tecnica. Si spiega così lo psicodramma andato in onda ieri al Parlamento europeo, quando un po' tutti i partiti italiani sono sembrati andare in ordine sparso sul voto per i provvedimenti economici anti-Covid.
Il bilancio finale ha visto l'approvazione di una risoluzione non legislativa con 395 voti a favore, 171 contrari e 128 astensioni. Il provvedimento è, appunto, non legislativo, una raccomandazione o poco più. A decidere tutto sarà il fondamentale Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo in calendario per il 23 aprile. Ieri, però, sono arrivate indicazioni importanti sulla direzione di marcia che l'Europa sembra destinata a prendere. A ricevere il via libera è stato tra l'altro il Recovery Fund, fondo per la ricostruzione europea che era stato proposto qualche tempo fa dalla Commissione: sarà di 1.500 miliardi e sarà finanziato in buona misura dai Recovery bond. Questi ultimi sono titoli garantiti dal bilancio dell'Unione europea (che a questo punto potrebbe, secondo la proposta della Commissione, lievitare fino al 2% del Pil continentale). La garanzia Ue era importante perché evitava ai Paesi del Nord Europa l'imbarazzo politico di dover assumere sul proprio bilancio la garanzia degli investimenti in programma.
Il Recovery Fund è uno dei cinque pilastri su cui l'Europa articolerà la sua risposta alla crisi economica legata alla pandemia. Centrale e in Italia controverso (con grande incredulità degli altri Paesi) sarà l'utilizzo delle risorse del Fondo Salva-Stati (da noi si usa di solito la sigla Mes-Meccanismo europeo di stabilità). Il fondo (in totale 410 miliardi) entrerà in funzione nella versione light, in pratica senza condizioni se non quella di utilizzare le somme a disposizione dei singoli Paesi per progetti in qualche modo legati all'assistenza sanitaria.
Il terzo pilastro del programma è l'intervento della Banca per gli investimenti (Bei) che ha messo a disposizione 200 miliardi di euro per garantire liquidità soprattutto alle piccole e medie aziende. C'è poi la Cassa integrazione europea, in sigla inglese Sure, presentata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen qualche tempo fa: altri 100 miliardi che andranno a sostenere le iniziative assunte dai singoli Paesi per combattere la disoccupazione ed evitare i licenziamenti.
Infine c'è il bazooka estratto da Christine Lagarde alla Banca Centrale europea: 750 miliardi per comprare titoli di Stato praticamente senza limiti. Per l'occasione è stato anche abolito il criterio della cosiddetta Capital Key che prevedeva acquisti di bond dei singoli Paesi solo in proporzione del capitale posseduto nell'Istituto di Francoforte.
Bruxelles e Francoforte hanno mobilitato
per l'emergenza una somma mai vista. A fare i conti via Twitter è stato ieri l'ex ministro Renato Brunetta: «Segnalo che la risposta europea è ben superiore a quella Usa: 3mila miliardi in Europa contro i 2mila di Trump».
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