Le regole Covid e la fine dei privilegi delle élite

Cosa hanno in comune Djokovic, Boris Johnson e il presidente del Credit Suisse, Hora Osorio?

Le regole Covid e la fine dei privilegi delle élite

Cosa hanno in comune Djokovic, Boris Johnson e il presidente del Credit Suisse, Hora Osorio? Stanno passando grossi guai per avere violato le norme covid. Il tennista per essere arrivato non vaccinato in Australia, il premier inglese per aver partecipato a un party privato quando erano vietati, mentre ieri Osorio si è dimesso per avere volato da Londra a Zurigo quando Berna aveva chiuso gli accessi dal Regno Unito. Johnson non si è dimesso e forse resterà al suo posto ma è lo scandalo più serio della sua carriera, Djokovic ha perso forse un trofeo e certo la faccia mentre il banchiere proprio il posto. Questo accostamento ci fa riflettere su due questioni. Una riguarda la selezione delle élite, l'altra la globalizzazione o ciò che ne resta. In ogni epoca le élite devono sottostare ad alcune regole di condotta, almeno sul piano pubblico. Nel lontano passato erano quelle religiose, nell'Ottocento quelle di morale sessuale, nel Novecento l'onestà personale e negli ultimi tempi, il rispetto delle differenze (delle donne, delle minoranze etniche ecc.). Oggi il culto delle regole covid sembra diventato il nuovo codice di condotta: da non violare in pubblico ma neppure in privato, anche perché prima o poi qualcuno lo userà contro di te, e oggi non v'è nulla di più pubblico del privato. Questo perché, come aveva previsto Tocqueville nel XIX secolo, questa è l'epoca dell'uguaglianza. E poiché le élite devono fungere da modello e da esempio per le masse, devono sottostare alle loro stesse regole: non importa la ricchezza, la notorietà e il potere. Nelle epoche aristocratiche le élite erano tali perché a loro era consentito ciò che al popolo era proibito (l'«io so' io e voi non siete» di Belli). Nelle epoche democratiche per un po' gli antichi privilegi sono rimasti: ma nella nostra ultramodernità, il presidente del Credit Suisse vale quanto l'ultimo usciere. Almeno sul piano delle regole perché poi le diseguaglianze di reddito sono molto più ampie che nel passato: e forse l'insistenza sulla eguaglianza di condotta serve solo a giustificare in parte i dislivelli reali. L'altra questione riguarda la globalizzazione. A parte il caso di Johnson, Djokovic e Osorio sono incappati in qualcosa che l'ideologia della globalizzazione sembrava aver cancellato: le frontiere. Considerati una leggenda per bifolchi fino al'inizio 2020, i confini sono diventati muri di volta in volta invalicabili o da attraversare solo se in possesso di documenti, tra i quali i pass sanitari. Il tennista credeva che, dato il suo status, ciò che valeva per l'afghano non valesse per lui mentre il banchiere, con l'aereo aziendale, pensava che le frontiere esistessero solo per i poveracci. Hanno voluto fare i no border, quasi delle Carola Rackete chic.

Ma l'Australia e la Svizzera sono due stati sovrani, anzi molto sovrani: e hanno fatto rispettare i controlli in modo rigoroso. Cambiamenti interessanti: anche se non saremo cosi ingenui da credere che anticipino un mondo più «giusto», qualsiasi cosa questo voglia dire.

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