L'altro giorno, sull'uscio della porta che immette dal Transatlantico al cortile interno di Montecitorio, Emanuele Fiano, mentre stringeva tra le dita una sigaretta, a cui dava una boccata dopo l'altra, con atteggiamento nervoso, aveva azzardato un'interpretazione su quella strana apertura ai grillini che il reggente del Pd, Maurizio Martina, aveva fatto all'«esploratore» Roberto Fico. «Non ci capisco più niente - si lamentava -: magari chiederemo poi il ministero degli Esteri per Renzi». Insomma, confusione. Tanta confusione. Il giorno prima Tommaso Cerno, l'ex condirettore di Repubblica e oggi senatore Pd, aveva spiegato a pranzo ad un collega: «Dobbiamo mettere i grillini alla prova. Possiamo dargli anche l'appoggio esterno, prendendoci il merito di aver bloccato Salvini». Il più sconsolato, mentre fuori dal Palazzo il ministro Calenda minacciava di ridare dopo un mese la tessera del Pd, era il professore e deputato Luigi Marattin, sprofondato su una poltrona di Montecitorio. «Io un governo con i 5stelle non lo voto» si sfogava. «Renzi? A me quest'aria mi ricorda l'inizio del film di Ridley Scott, Il Gladiatore. Quando Massimo Decimo Meridio dà ordini ai suoi legionari: fermi... fermi... fermi... E al mio comando scatenate l'inferno!». E inferno fu.
Quella stessa sera, infatti, Matteo Renzi si è reso conto dell'operazione che è stata messa in piedi per costringerlo alla resa. «Questi - ha spiegato a più di un amico - hanno impostato una trattativa violenta, con minacce e ultimatum. Vogliono mettermi con le spalle al muro: o dico di sì al governo con i grillini; o c'è il muro, cioè le elezioni. Ma se la mettono in questo modo, io scelgo il muro, cioè le elezioni. Tanto io in Parlamento torno, Franceschini non so. Questi non hanno capito che non mi faccio intimidire. Usano la violenza: o fai questo, o ti facciamo male. Non hanno capito come sono fatto: io sono pronto a trattare pure con Belzebù, ma certo non ho paura di chi nelle trattative politiche si comporta come sul web, con i metodi delle baby gang».
Insomma, lo stato d'animo che l'ex segretario comunica agli amici è più o meno questo, corredato anche da una serie di valutazioni che si basano sul pallottoliere: «Inoltre si dovrebbero fare due conti, per fare un governo con i grillini, non basta avere il 51% della direzione del Pd, ma devi assicurarti almeno l'85% dei gruppi parlamentari. Numeri che non avranno mai. Specie con la rivolta che c'è nel partito: c'è gente che minaccia di ridare la tessera se il Pd farà in governo con i grillini». Appunto, se una «baby gang» ti minaccia per strada con un temperino chiedendoti il telefonino, hai due strade davanti: o glielo dai; o li rimandi dai genitori, magari dopo avergli mollato qualche scappellotto. Renzi sembra aver scelto, a sentire i suoi, la seconda opzione.
Anche perché la trattativa è stata impostata male dagli indistinti personaggi che l'eremita di Rignano tira in ballo parlando di «questi» o «quelli». L'ex segretario, infatti, non si riferisce solo ai grillini. Si arguisce, che i soggetti che sono complici del piano, sono diversi. Ma l'interessato non ne svelerebbe l'identikit, neppure sotto tortura. Per cui bisogna affidarsi alle supposizioni. Probabilmente c'è il reggente Maurizio Martina, troppo lesto ad aprire la trattativa, quando, invece, la politica ha i suoi tempi. Ci sarà sicuramente anche Dario Franceschini, che dall'inizio della legislatura tira per un accordo con i grillini, calato nei panni di un Indiana Jones che nella jungla del Palazzo è alla ricerca della «poltrona perduta». E, anche se la congettura potrà sembrare ardita, c'è pure il Quirinale (circostanza che l'ex segretario del Pd non ammetterà mai), che ha accelerato i tempi del confronto e non ha impedito che i grillini usassero l'arma di ricatto delle elezioni: proprio Mattarella che la scorsa legislatura aveva detto no all'ipotesi di anticipare le elezioni di 6 mesi; ora, invece, sembra quasi disposto a far durare un'intera legislatura appena sei mesi.
Già, a guardarle dal di fuori, le mosse dei vari protagonisti, sembrano studiate apposta per mettere Renzi con le spalle al muro. Un atteggiamento che ha finito per indispettirlo. Tanto più che il boccone che vorrebbero fargli ingoiare sarebbe indigesto per chiunque: dovrebbe fare il governo con chi per quattro anni ha trattato lui e il Pd come se fossero Vallanzasca e la sua banda. Sono anni che l'ex segretario del Pd mette sul banco «le tecniche fasciste con cui i grillini manganellano gli avversari»; e, parlando di una vicenda di qualche giorno fa, la sentenza sulla trattativa Stato-mafia, ma, soprattutto, il côté di dichiarazioni grilline che si è portata dietro: «Ma possiamo dare questo Paese - ha chiesto ai suoi - in mano ai giustizialisti?». Se a ciò si aggiunge la politica corsara dei 5stelle il boccone, da indigesto, rischia di diventare avvelenato: quelli, come i pirati, ti fanno salire sulla loro nave, ma alla prima tempesta sono capaci di gettarti a mare come zavorra. Detto questo, uno come lui, abituato a trattare pure, come dice, con Belzebù, ci avrebbe riflettuto su. Ma non dovevano esserci «minacce» ed «ultimatum». Bisognava far decantare la situazione dopo una campagna elettorale al fulmicotone. E, magari, e questo va al di là di Renzi, usare maggiore fantasia. Ad esempio, visto che con tutto quello che è passato sotto i ponti, l'ipotesi di un governo sorretto da una maggioranza «politica», è estremamente complicato a farsi, sarebbe necessario dargli un «vestito istituzionale». Non un governo «tecnico», per carità. «Monti - diceva giorni fa Ettore Rosato - ci ha rovinato. Io, rispetto ad un governo tecnico, preferisco addirittura appoggiare dall'esterno un governo di centrodestra». Un governo presieduto, a seconda di chi ci sta, o dal presidente della Camera o del Senato (il segretario generale del Quirinale è un'idea più ardita), che eviterebbe il rischio di dover affidare un incarico a Salvini (inviso sul Colle come nessuno) e libererebbe una poltrona istituzionale per una delle forze che è rimasta a digiuno (Pd o Lega). Un governo da mandare in Parlamento, un po' come si fece nel 1987 (i riti sono quelli della Prima Repubblica) con Fanfani che dalla poltrona più alta di Palazzo Madama arrivò a Palazzo Chigi: in quel caso si andò alle elezioni, ma non è detto che dopo essere partita questa legislatura non duri. Al Quirinale immaginano un governo del genere presieduto da un grillino (in questa logica Fico), con dentro ministri «tecnici». Raccontano che la voglia di far sedere ad un tavolo 5stelle e Pd serva proprio a mettere in piedi un programma come base per un governo istituzionale.
Ragionamenti che rischiano, però, di creare ancora più confusione: come si fa a costruire su un programma concordato da due partiti un governo istituzionale, che per sua natura dovrebbe essere aperto a tutti? «Questi non hanno capito - si
arrovellava alla Camera giorni fa, Pierluigi Bersani - che i 5stelle non andranno mai in un governo senza la Lega, e viceversa. Gli uni hanno paura che gli altri se ne approfittino a livello elettorale». La confusione continua.
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