Renzi tenta la tregua ma il forno M5s è chiuso Vigilia di caos nel Pd

In Direzione l'ex segretario chiede la conferma del «no» a Di Maio e Salvini. Martina non si fida

Renzi tenta la tregua ma il forno M5s è chiuso  Vigilia di caos nel Pd

L'oggetto del contendere, nelle misteriose risse in corso nel Pd, è uno solo: chi comanda nel partito. Ossia chi è l'interlocutore di Mattarella nella partita del governo, e questione ancora più pregnante - chi deciderà le liste elettorali in caso di elezioni anticipate.

Si spiega così l'impazzimento collettivo di questi giorni, dopo che Matteo Renzi a Che tempo che fa ha fatto saltare i giochi dando lo stop aIl'inciucio con i grillini. Tutto il fronte anti-renziano, che aveva visto nel «dialogo» coi Cinque Stelle, avallato dal Quirinale, l'occasione per ribaltare la linea, prendere il timone e liberarsi dell'ingombrante ex premier, è insorto contro di lui. Si è arrivati ad un passo dalla deflagrazione definitiva del Pd, che avrebbe potuto consumarsi oggi nella Direzione convocata per le 15 al Nazareno.

In extremis, si è impapocchiato un tentativo di armistizio che dovrebbe evitare la spaccatura immediata: la Direzione rinnoverà la «fiducia» al reggente Maurizio Martina, il quale nella sua relazione dovrebbe dare il segnale che come ha detto ieri Dario Franceschini il tema del governo coi grillini «non è più sul tavolo» (anche perché il forno col Pd l'ha già chiuso Di Maio) Ma i toni restano aspri, e si continuerà a trattare fino ad un attimo prima della riunione: Martina ha fatto sapere che si è sentito «delegittimato» da Renzi e che ora «chiedere unità è una presa in giro». Minaccia un documento, mentre il fronte renziano contro-minaccia di convocare entro dieci giorni l'Assemblea nazionale per indire il congresso e scalzare il reggente.

I renziani hanno messo sul tavolo un documento «di mediazione» studiato da Lorenzo Guerini per evitare la conta e mettere in chiaro il «no del Pd al governo Di Maio o al governo Salvini», messi sullo stesso piano. In calce al documento, le firme di 39 senatori su 52, 80 deputati su 112, 120 membri della Direzione su 210: numeri che non lasciano dubbi sul fatto che la maggioranza, nei gruppi parlamentari e in Direzione, è sulla linea di Renzi. Il quale, a sera, prima interviene a una riunione del gruppo del Senato, e poi verga una enews con cui prende di mira Piero Fassino, che ha in pratica teorizzato la confluenza del Pd nei Cinque Stelle, in nome di un «nuovo bipolarismo» contro il centrodestra a trazione leghista. «Un errore, che mi vede in radicale dissenso», scrive Renzi. «Chi ci ha votato, lo ha fatto sulla base di una proposta radicalmente alternativa al M5s. Un'alleanza con loro tradirebbe il mandato degli elettori. Non ci divide soltanto una campagna elettorale basata sugli insulti, sugli attacchi personali e sulle promesse irrealizzabili: ci divide un'idea di futuro, dal reddito di cittadinanza ai vaccini».

Renzi indica Fassino come portabandiera dell'inciucio con la Casaleggio, ma con i suoi la definisce «la linea Veltroni-Scalfari», dunque più estesa e ramificata dentro il Pd e le sue mosche cocchiere editoriali. Con propaggini fino al Quirinale, sospetta più d'uno: non si spiegherebbe perché Martina, Franceschini eccetera si sarebbero spinti così avanti nel dialogo senza condizioni con Di Maio «se non avessero avuto le spalle coperte dall'alto», chiosano nel Pd.

Un uomo di governo Dem, alla vigilia dell'incarico a Fico, confidava che l'esecutivo Pd-M5s era «cosa praticamente fatta». Renzi ha rotto il giocattolo e nel partito è esplosa la reazione. Difficile capire fin dove arriverà.

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