Resa dei conti nel Pd: ecco chi rivuole Renzi

Giorgio Gori guida il 'partito dei sindaci' che vuole riportare a casa i renziani. Con tante sponde tra i dem. Per opporsi alla linea di Zingaretti pro-alleanza con i 5 Stelle

Resa dei conti nel Pd: ecco chi rivuole Renzi

Un Pd di nuovo a marchio renziano. Con una pattuglia dem pronta a fare da apripista al grande di ritorno, in nome dell’ostilità all’alleanza strutturale con il Movimento 5 Stelle. Mettendo sotto scacco Nicola Zingaretti, uscito indebolito dalla caduta del Conte 2 e della fase di nascita del governo Draghi. Una linea perdente sotto la regia di Goffredo Bettini e Dario Franceschini. Certo, Matteo Renzi non sarebbe in primo piano, coltivando l’ambizione di un ruolo internazionale. Ma al vaglio c’è l’operazione di iniettare dosi, e dirigenti, di renzismo nel partito, sebbene in via ufficiale tutti smentiscano. “Ma il processo inizierà nelle prossime settimane sul livello locale con un graduale riposizionamento”, spiegano a IlGiornale.it.

Intanto, sul piano nazionale, la realtà è evidente: la richiesta di congresso è stata più che sdoganata. Il primo ad avanzare la proposta, già lo scorso anno tanto da apparire un eretico, è stato il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, da molti considerato il grimaldello per scardinare l’antirenzismo imperante ora a Largo del Nazareno. “Esiste una sorta di ‘partito dei sindaci’ interni al Pd che vede di buon occhio una riorganizzazione del partito”, spiega una fonte che sta seguendo da vicino l’evoluzione delle vicenda. Cosa significa? “Il riavvicinamento-ritorno di Renzi”. Un ‘partito dei sindaci’, che annovera oltre a Gori anche il primo cittadino di Firenze, Dario Nardella. E che assimila altri sindaci, ex renziani rimasti nel Pd, come Antonio Decaro (Bari), Mattia Palazzi (Mantova) e Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria). Al momento sono impegnati a governare le loro città, ma nella fase più propizia possono indossare i panni degli ambasciatori.

E se Gori è stato il precursore del dibattito sul congresso, con il trascorrere dei mesi, la necessità di un confronto interno ha preso forza. Il senatore Tommaso Nannicini l’ha ribadita senza giri di parole: “Serve un congresso”. Zingaretti, incassato il colpo, è disposto a concederlo, anche a causa di una scadenza ineludibile: le Amministrative della prossima primavera. Elezioni che mettono in gioco Comuni come Napoli, Milano, Roma, Torino. Mica poco. A quel punto la resa dei conti sarà inevitabile: il presidente della Regione Lazio spera di affrontare la sfida da una posizione di forza, con un buon risultato elettorale per consolidare la sua guida. Le minoranze interne studiano invece l’assalto alla leadership, prevedendo un esito negativo. “Ora come ora c’è il rischio di disfatta”, è l’analisi tranchant.

Così entrerebbero in gioco Renzi e i suoi fedelissimi, che contano al contrario di dimostrare un buono stato di salute di Iv proprio alle prossime elezioni. “A quel punto può scattare una sorta di appoggio esterno a un candidato del Pd”, osserva chi vive da vicino l’aumento delle fibrillazioni tra i dem. L’obiettivo è di sconfiggere la linea Zingaretti-Franceschini. L’identikit ideale per il candidato potrebbe essere proprio Gori, ma dipende se vorrà correre in prima persona o sostenere Nardella, indicato come un possibile candidato. Nella contesa potrebbe entrare l’ex viceministra all’Istruzione, Anna Ascani, che già al momento della nascita di Italia viva era in procinto di seguire Renzi. Sembra più defilata la posizione del presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che ha più appeal all’esterno che nel suo stesso partito.

Ma i renziani possono contare su una sponda anche tra i dirigenti nazionali. Sono tanti i parlamentari che non approvano la linea di appiattimento al Movimento 5 Stelle. “La strategia ‘o Conte o elezioni’ ci ha esposto a una sonora figuraccia, vista come è andata a finire”, si lamenta a microfoni spenti un parlamentare del Pd. Così, in questo clima, il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, sarebbe ben felice di riabbracciare gli amici renziani nel partito. Non è sfuggita la sua posizione sempre più critica critica verso il segretario Zingaretti, affidatosi a Bettini, come deus ex machina di qualsiasi operazione. Il presidente dei deputati dem, Graziano Delrio, è un ‘pontiere’ per la sua indole mite, nonostante le incomprensioni che lo hanno allontanato dal suo ex sodale Renzi.

Tra i big figura poi Lorenzo Guerini che, con approccio democristiano, può tendere una mano ai rientranti di Italia viva. Del resto è stato per anni l’uomo delle mediazioni per conto di “Matteo”. “Più siamo, meglio è per crescere”, è il sunto della posizione del leader della corrente Base riformista. Quella di renziani rimasti nel Pd.

Addirittura nemmano la sinistra del partito, con Matteo Orfini come riferimento, non farebbe le barricate contro i renziani. Anzi. In più occasioni, infatti, Orfini ha biasimato la grillizzazione del Pd. Il ritorno a casa di Renzi sarebbe un sicuro antidoto per un partito tutt’altro che appiattito sui 5 Stelle.

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