A volte il silenzio sarebbe preferibile alle parole lanciate a casaccio. L'ultima uscita dell'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani d'Italia, parla da sola: "È giusto definire la lotta armata degli ucraini come una lotta di resistenza", ha detto il presidente Gianfranco Pagliarulo. "Ma secondo noi sarebbe sbagliato identificare la resistenza italiana con la resistenza Ucraina".
Di cattivo gusto fare discorsi di questo genere. È normale che ogni episodio storico abbia una sua specificità, ci mancherebbe. Ma che senso ha alludere a resistenze di serie A e resistenze diverse (quindi forse di serie B?). Porre in second'ordine la strenua lotta degli ucraini contro l'invasore è offensivo. Se non altro perché l'Ucraina, intesa come stato, non ha mai dichiarato guerra a nessuno (come fece il nostro Paese nel giugno 1940) e quindi non solo ha tutto il diritto di difendersi ma anche il dovere morale di farlo.
Ecco come Pagliarulo prova a spiegare la differenza tra la nostra resistenza e quella ucraina. "La resistenza italiana nasce l'8 settembre 1943 e si conclude il 25 aprile del 1945, la guerra era in corso, gli alleati erano in guerra contro la Germania e l'Italia fascista, fornirono armi per chiudere al più presto la guerra. È stata l'ultima fase di quella guerra. Il paragone è del tutto improprio - sottolinea - . L'Italia non è in guerra contro la Russia, noi vorremmo evitare che tramite l'invio delle armi ci si avvii ad una linea rossa da non travalicare. C'è stata una resistenza anche in Iraq, una dei talebani, o quella di Gheddafi, ma questo non vuol dire che siano state uguali a quella che si svolge ora in Ucraina". Queste precisazioni sono giuste ma, per certi versi, scontate. Che senso ha farle?
C'è da sottolineare che se la resistenza italiana riuscì a prevalere fu soprattutto grazie all'impegno sul campo dei soldati alleati, che liberarono l'Italia dai nazifascisti. Gli ucraini, invece, combattono da soli contro l'invasore. E non si lamentano per questo, lo fanno per difendere la propria libertà. Ci chiedono solo di essere aiutati con le armi per poter continuare a combattere, vista la indubbia sproporzione di forze tra i due stati.
Pagliarulo tiene a precisare che l'Anpi non è mai stato equidistante rispetto al conflitto in Ucraina: "Siamo dalla parte degli aggrediti contro gli aggressori''. Tuttavia questo stare con l'Ucraina è anomalo, per così dire, perché prevede forme di lotta "gandhiane", cioè senza armi. Immaginate se i partigiani, nella lotta contro i nazifascisti, avessero usato le fionde o i sassi. "Assistiamo ad un riarmo generalizzato come avvenne prima della prima e della seconda guerra mondiale. Tutto ciò inasprisce le tensioni. Si sta creando a una reazione a catena apocalittica che potrebbe portare ad una catastrofe".
"Noi siamo stati da subito contrari all'invio di armi - insiste il presidente dell'Anpi -. È possibile un nuovo Afghanistan nel cuore dell'Europa, una guerra interminabile, di sfinimento. Oggi siamo davanti ad una fase nuova dell'invasione che ha un carattere ancora più tragico che rende ancora più urgente un tavolo di trattative, a partire da una tregua per le festività pasquali come ha chiesto Papa Francesco''. I rischi ci sono, su questo Pagliarulo ha ragione. Ma come avrebbero mai potuto difendersi (e resistere) gli ucraini senza disporre di armi?
L'associazione dei partigiani si sente presa di mira e rirponde per le rime. "Anpi è unita, c’è un legittimo dibattito interno in cui sono benvenute opinioni diverse.
Abbiamo assistito ad una serie di attacchi contro Anpi di una violenza e di una volgarità inaudita. Ho scoperto, a mia insaputa, di essere putiniano, ce ne faremo una ragione". Ci limitiamo a osservare che, forse, una maggiore coerenza sarebbe utile. Però l'Anpi faccia come meglio crede.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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