«C'è qualcuno che non si candida alla presidenza?», esordiva ieri in un editoriale per il New York Times Stuart Stevens, ex stratega della campagna elettorale del 2012 di Mitt Romney. La corsa repubblicana alla Casa Bianca si è fatta sempre più affollata nella ultime settimane. Con la discesa in campo mercoledì dell'ex governatore della Virginia Jim Gilmore i concorrenti sono saliti a quota 17, il doppio rispetto alle due ultime sfide per entrare a 1600 Pennsylvania Avenue.
Gli sfidanti del Grand Old Party sono talmente tanti che in attesa delle primarie è diventato difficile addirittura organizzare dibattiti televisivi per i giornalisti: l'emittente Fox news la prossima settimana ospiterà i dieci nomi che dominano gli ultimi sondaggi nazionali, riservando agli altri lo stesso giorno spazio su un forum laterale. Nella squadra di aspiranti presidenti ci sono ex e attuali governatori come Jeb Bush, Chris Christie, Scott Walker, Rick Perry, Bobby Jindal, George Pataki, donne d'affari come Carly Fiorina, senatori come Ted Cruz e Rand Paul, e magnati super televisivi come Donald Trump.
In seguito all'ultima candidatura che ha ingrossato le fila del già folto gruppo, giornali, televisioni e siti americani hanno iniziato ad analizzare le origini di tale foga elettorale e le ragioni che portano politici con poche speranze di sopravvivere alle primarie a scendere comunque in campo e preferire un insuccesso a un mancato tentativo. In questa sfida elettorale tutta repubblicana c'è da sottolineare la più importante differenza con il campo democratico avversario: non c'è un chiaro favorito. Dall'altra parte, la presenza e le capacità di raccolta fondi dell'ex First Lady Hillary Clinton hanno neutralizzato le velleità di molti rivali interni. C'è anche da dire che i repubblicani arrivano alla sfida con una solida maggioranza alla Camera e al Senato. E sperano - dopo due mandati democratici alla Casa Bianca - nel desiderio di cambiamento della popolazione. Come ha scritto il New York Times , credono fortemente nella possibilità di riconquistare la presidenza, e allora tanto vale essere nel grande mucchio. Secondo l'emittente NBC c'è invece chi ha deciso di partecipare per sfruttare quello che è stato definito l'«effetto Mike Huckabee». L'ex governatore dell'Arkansas, dopo la candidatura fallita del 2008, ha firmato contratti televisivi, costruito una carriera sul piccolo schermo. Se ti candidi, dunque, si parla di te. Lo stesso ha fatto Rick Santorum nel 2012, acquistando una rilevanza politica che lo ha portato alla guida di una compagnia di produzione di film sulla cristianità. La corsa alla vicepresidenza di Sarah Palin è valsa all'ex governatore dell'Alaska un contratto per un libro. Se fino al 2010, quando una sentenza della Corte Suprema ha cambiato la legge sul fundraising , per raccogliere il fondamentale denaro per la corsa elettorale era necessario una costosa campagna a tappeto per gli Stati Uniti, adesso l'esistenza di Super PACs permette ai candidati di avvalersi di pochi e ricchissimi donatori. E per chi è a corto anche di quello, c'è sempre la strada del crowdfunding e dello sfruttamento dei social-media.
Alcuni candidati, come Marco Rubio e Ted Cruz, guardano invece al precedente di Barack Obama: un senatore junior con un nome «strano», membro di una minoranza e con poca esperienza politica alle spalle è stato eletto due volte presidente degli Stati Uniti. Potrebbe quindi accadere ancora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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