Tutto restituito: l'inchiesta della Procura di Milano che aveva messo nel mirino Irene Pivetti va a scontrarsi ieri con il provvedimento che smonta le tesi dell'accusa e ordina la riconsegna all'ex presidente della Camera dei fondi che le erano stati sequestrati appena dodici giorni fa con un'operazione della Guardia di finanza, coordinata dal pm milanese Giovanni Tarzia, che aveva fatto irruzione su tutte le prime pagine. L'ex esponente leghista, divenuta a soli 31 anni il più giovane presidente mai approdato alla guida di Montecitorio, si era ritrovata accusata di riciclaggio e frode fiscale per un vortice di soldi circolati sui conti delle sue società sparse tra Hong Kong, Polonia e Italia: considerate dal pm nulla più che scatole vuote, utili solo a sottrarre fondi al fisco. Alla Pivetti insieme al decreto di sequestro era stato notificato anche l'avviso di chiusura delle indagini preliminari, segno che la Procura si preparava a chiedere il suo rinvio a giudizio.
Ma ieri sulle accuse alla Pivetti si abbatte il provvedimento del giudice preliminare Giusy Barbara che accogliendo il ricorso del difensore Filippo Cocco dissequestra le somme che erano state bloccate su un conto corrente, in una cassetta di sicurezza e su una ricaricabile Postepay. Nel suo provvedimento la Barbara non si limita a revocare il sequestro ma - per quanto se ne è potuto apprendere - mette in discussione per intero la fondatezza delle accuse mosse alla enfant prodige del Carroccio: le società che per la Procura erano scatole vuote, secondo il gip erano invece operative a tutti gli effetti. In tal caso sparirebbe l'accusa di frode fiscale e con essa pure quella di riciclaggio. E per l'inchiesta si aprirebbero due strade possibili: sostenere che le società erano operative in Italia e collocate oltreconfine solo per aggirare il fisco (quella che tecnicamente si chiama «esterovestizione») e contestare a quel punto il reato di dichiarazione infedele, se l'importo superasse la soglia ammessa dal codice. Oppure prendere atto che le società erano effettivamente attive sui mercati internazionali, e a quel punto l'indagine rischierebbe di finire per intero in archivio.
D'altronde già a botta calda, dopo i sequestri del 18 novembre, attraverso il suo legale la Pivetti aveva fatto sapere di essere pronta «a chiarire ogni aspetto della vicenda»: la classica dichiarazione che in genere lascia il tempo che trova ma che stavolta ha dato invece risultati concreti, convincendo il giudice a dissequestrare tutto. «Sono molto contenta di questo atto che mi sembra aiuti a una migliore ponderazione», commenta Irene Pivetti: «Sono solo contenta che si indaghi con calma e precisione su una vicenda intricata».
Per sostenere che la complessa rete di società che fa capo alla Pivetti fosse solo una macchina da evasione, la Procura aveva sottolineato numerosi dettagli; come la sede della società polacca, al cui indirizzo si trova soltanto un centro estetico, o il capitale
sociale della filiale di Hong Kong, pari a un centesimo di euro. Tra i beni sottratti al fisco dal sistema-Pivetti, secondo l'accusa c'erano anche sette milioni sottratti alle casse del racing team del pilota Leo Isolani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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