Viene soprattutto dai media arabi la notizia che si può essere ottimisti sulla trattativa per gli ostaggi. Vedremo. Crederci non è facile, di giochetti sadici Hamas ne ha già fatti parecchi. Blinken lo ha detto: niente si interpone fra la liberazione degli ostaggi e il cessate il fuoco... se non Hamas. È questa l'inequivoca presa di posizione del Segretario di Stato americano di ritorno dal Medioriente dove ha verificato la «straordinariamente generosa proposta» di Netanyahu per una prima tregua in cambio degli ostaggi, ha visitato il porto di Ashdod e il passaggio di Erez per verificare che siano attrezzati a fornire tutto l'aiuto umanitario e ha discusso a lungo su come salvaguardare la popolazione e organizzare il futuro di Gaza. Con buona pace di chi immagina che Israele voglia impegnarsi in un'occupazione nella quale non ha invece nessun interesse.
Sul tavolo americano un bastone con cui si fermano gli aiuti, i proiettili indispensabili a Israele, e una carota, quella che fa di Israele il migliore amico degli Stati Uniti nonostante chi annuncia rotture continue. Per Biden Hamas è un nemico, e ormai in America non è tanto ovvio, ma gli Usa cercano di proibire contraddittoriamente l'unico ingranaggio che può spingere Sinwar al compromesso sugli ostaggi, cioè la pressione militare, l'ingresso a Rafah; e in secondo luogo mercanteggiano con Israele sul futuro della Striscia, un terreno da premio Nobel persino per Netanyahu, oltre che per Biden, se la pace, una volta cancellato Hamas, vedrà come protagonisti i Paesi degli accordi di Abramo e l'Arabia Saudita. Gioco molto difficile, ma a cui Israele partecipa senza tirarsi indietro: non ha attaccato Rafah, ha fornito più aiuti possibili anche se Hamas li ruba alla sua stessa gente, ha pianificato un'evacuazione di Rafah insieme agli americani, ha fermato la guerra nella Striscia, disegnando un'apertura anche maggiore se l'accordo sarà raggiunto. Ma a Israele resta la necessità di entrare a Rafah, pena la sopravvivenza dei quattro battaglioni a guardia della leadership di Hamas, e la possibilità di ripopolare la fiorente, civilissima zona confinante con Gaza. Oltre a questo, se Israele non entra a Rafah, non può controllare lo «Tzir Philadelphi» il confine con l'Egitto da cui vanno e vengono senza sosta armi, uomini, aiuti a Hamas.
Adesso, se Hamas sarà disponibile a un accordo per pochi ostaggi in cambio di centinaia, forse migliaia, di prigionieri, e Israele lascerà la porta aperta per ulteriori accordi che possono portare a un lunghissimo cessate il fuoco, è perché per due volte in pochi giorni Netanyahu ha ripetuto che a Rafah si entrerà comunque, e sul confine si vedono i tank pronti all'ingresso di terra; perché un'esplicita spinta americana chiede al Qatar di espellere la direzione politica di Hamas dal suo territorio; perché Israele ha detto che se entro una settimana non riceve una risposta non ci sarà più un'altra occasione. Questa è la lingua più giusta in Medioriente, sempre che si vogliano salvare gli ostaggi e che si voglia veramente un cessate il fuoco.
Forse Biden potrebbe concedere a Netanyahu un'operazione mirata per eliminare i capi di Hamas dalla Striscia, perché i palestinesi che vi abitano siano liberati dal loro peggior nemico e anche per Israele si riapra un futuro possibile, insieme a quello del resto del mondo.Se invece quando si dice cessate il fuoco si allude senza pensarci due volte a una resa di Israele, a un lasciare le cose come stavano il 6 ottobre, questo servirà solo a far si che presto arrivi di nuovo il 7.
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