Mani Pulite, coscienze sporche. La riforma della giustizia appare come il regalo più grande che il centrodestra può fare al Cavaliere, seppure postumo, dopo 30 anni di persecuzione giudiziaria conclamata, ora che le chat tra magistrati hanno disvelato faide e veleni, con i vecchi pm che hanno maciullato la Prima Repubblica come Piercamillo Davigo finiti alla sbarra, ora che persino Paolo Mieli ammette a mezza bocca che il Corriere nel 1994 ricevette dalla Procura la notizia della prima indagine a carico di Silvio Berlusconi.
«L'ex premier è stato un indiscusso protagonista della vita del Paese, a lungo anche nel dibattito intorno alla giustizia, che ha sempre inteso orientare in senso garantista», ha detto l'altro giorno a caldo il Guardasigilli Carlo Nordio, che di questa missione riformatrice è stato investito dal premier Giorgia Meloni. «Nessuno oggi può seriamente mettere in dubbio che Berlusconi sia stato oggetto di una aggressione politico-giudiziaria che non ha precedenti nella storia della Repubblica», recitava il comunicato di cordoglio delle Camere penali. «È l'amara realtà di un Paese nel quale l'esercizio dell'azione penale è divenuto strumento privilegiato di lotta politica», sottolineano i penalisti, che invocano «la più netta separazione tra i poteri dello Stato», a partire dalla quella «tra magistratura inquirente e quella giudicante» e una «idea liberale del diritto penale e del giusto processo». Un messaggio che l'esecutivo sembra voler ascoltare in pieno.
Domani al Consiglio dei ministri arriverà il primo pacchetto di misure: si va proprio dalla separazione delle carriere alla riforma del Csm. Serviranno mesi per trovare il giusto equilibrio in Parlamento, sia per i distinguo laceranti dentro il mondo della magistratura emersi nel corso dell'assemblea dell'Anm di domenica scorsa, sia perché occorre una revisione costituzionale e i tempi sono molto più lunghi. È lecito invece attendersi misure molto stringenti e (forse) immediate su abuso d'ufficio, inappellabilità di proscioglimento da parte di pm - superando i distinguo della Corte costituzionale sulla riforma firmata da Gaetano Pecorella, che nel 2007 ne dichiararono l'illegittimità - segretezza delle indagini («La sola informazione di garanzia è un'anticipazione di condanna», ha detto Nordio) e soprattutto intercettazioni.
Il dossier è nelle mani dei tecnici di via Arenula, da quel che trapela è lecito attendersi una serie di novità. Si va verso l'abrogazione totale dell'abuso d'ufficio su cui c'è già la proposta di Pietro Pittalis (Forza Italia). «È un reato magmatico, la cui dannosità originaria è mista a comprovata inefficacia preventiva, considerato che la paura di incorrere nella contestazione del reato frena l'azione amministrativa legittima», dice al Giornale l'avvocato Ivano Iai. Il timore è l'addio all'articolo 323 del codice penale dia a Europa, Ocse e Onu segnali di cedimento sul fronte della lotta alla corruzione: «La potenzieranno. Abbiamo ben 30 norme contro i funzionari infedeli», aveva sottolineato Nordio nei giorni scorsi. Quanto alle intercettazioni, l'obiettivo dovrebbe essere limitarne al massimo la pubblicazione sui giornali, a tutela del buon andamento delle indagini, soprattutto per i soggetti terzi che dovessero finire incautamente spiati senza essere coinvolti direttamente nell'inchiesta. «Non ho mai dato la colpa ai giornalisti per la pubblicazione di intercettazioni, se è un atto secretato quella notizia non dovrebbe uscire», aveva detto Nordio.
Piccolo inciso. Mentre per anni l'accanimento contro Berlusconi si è nutrito di intercettazioni rubate o soltanto presunte (come quelle sulla cancelliera tedesca Angela Merkel), l'unico quotidiano condannato per le intercettazioni è il Giornale per la famosa frase «abbiamo una banca», riferita da Piero Fassino sul caso Bnl-Unipol e scovata da Gianluigi Nuzzi in circostanze mai non del tutto chiarite.
L'obiettivo è anche quello di ridurre a mafia e terrorismo - non più la Pubblica amministrazione - la possibilità di utilizzare i trojan, «i cui abusi su privacy, attendibilità e invasività documentati nelle audizioni in commissione Giustizia della Camera vanno normati definitivamente», conclude Pierantonio Zanettin (Fi). «Anm, giornali, sinistra, burocrati ministeriali faranno di tutto per far saltare la riforma. Se Nordio terrà il punto, noi ci saremo», scrive su Twitter il deputato di Azione Enrico Costa. Le toghe sono avvisate.
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