«Che una riforma istituzionale sia necessaria è un dato condiviso da almeno 50 anni. Un Paese come l'Italia ha bisogno di istituzioni efficienti e capaci di realizzare l'indirizzo politico scelto dai cittadini». Il costituzionalista Giovanni Guzzetta è convinto che l'attuale sistema sia troppo fragile per dare ai cittadini le risposte ai loro problemi.
Professore, tra presidenzialismo, semi-presidenzialismo e sindaco d'Italia, secondo lei, qual è la soluzione migliore per il nostro Paese?
«Da anni sono convinto che sia il sistema semipresidenziale. Il modello americano è troppo distante dal nostro. Presuppone un federalismo molto spinto, che può sopportare la rigida separazione tra esecutivo e legislativo. Il premierato non ha esempi nel mondo. L'unico caso era Israele, dove si è verificato l'effetto opposto a quello desiderato. Il modello francese, invece, è consolidato e ha funzionato proprio per risolvere i problemi simili a quelli dell'Italia. L'unica cosa simile al premierato è rintracciabile nel sistema dei sindaci e nei presidenti di Regione eletti direttamente, ma è un sistema molto rigido che prevede lo scioglimento del Consiglio dopo le dimissioni di chi governa o dopo un voto di sfiducia. Si rischierebbe di non riuscire ad affrontare situazioni di emergenza senza elezioni».
Crede che il governo riuscirà a raggiungere l'obiettivo?
«Il governo ha una maggioranza chiara e tutto farebbe pensare di sì, ma il processo riformatore è lungo e, normalmente, le convergenze politiche iniziali si logorano durante il percorso. È per questo che io credo che le riforme vadano fatte precedere da una scelta chiara del popolo, tramite un referendum consultivo. Penso a un modello simile al referendum tra Repubblica e Monarchia. Il risultato di quel quesito consentì all'Assemblea costituente di lavorare avendo già sciolto uno dei nodi più importanti».
«L'idea che governo e maggioranza possano maneggiare un tema tanto delicato» fa «tremare le vene ai polsi». È la posizione Pd. Lei la condivide?
«A me non sembra che la maggioranza abbia assunto un atteggiamento che escluda il coinvolgimento dell'opposizione. Anzi, la Meloni, nel suo discorso di fine anno, ha auspicato proprio che vi siano riforme condivise, ma ovviamente non si può concedere all'opposizione un potere di veto. L'ostilità di oggi non appartiene al Pd. Alla fine degli anni '90, la sinistra aveva un atteggiamento molto più aperto, soprattutto verso il modello francese. Ricordo alcune prese di posizione di Prodi, Veltroni e D'Alema. La bicamerale presieduta da quest'ultimo varò proprio una proposta di tipo semipresidenziale, mentre nel 2012 vi fu un gruppo significativo di esponenti del Pd che avanzò una proposta di legge di riforma costituzionale che andava in tale direzione. Ma non solo. Alcune di queste personalità sono ancora sulla scena politica. Sono molto sorpreso di questo atteggiamento di chiusura così ultimativo.
Sono convinto che una larga parte degli elettori della sinistra non la condivida così come le personalità che credettero nell'Ulivo, come, ad esempio, un sincero riformatore come Arturo Parisi. Mi auguro che questo tipo di dichiarazioni siano frutto soprattutto dei travagli interni verso la nuova segreteria».
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