Anna Muzio
Il riso del risotto? Il Carnaroli, ovviamente. Dai chicchi grossi e affusolati, ricco di amido, assorbe bene i liquidi e assicura una mantecatura perfetta. Più o meno tutti gli amanti dell'«onda» l'hanno in dispensa. Ma è proprio così? Già perché non tutti i Carnaroli discendono da quello selezionato nel 1945 a Paullo, cittadina a nord-ovest di Milano, dal risicoltore e agronomo Angelo De Vecchi che decise di incrociare due varietà, il Vialone e il Lencino, con una cariosside di Oryza sativa japonica. «Il Carnaroli», con l'articolo davanti come si usa a Milano, pare fosse un dipendente del De Vecchi cui era stato promesso che se fosse riuscito a creare qualcosa di magico avrebbe preso il suo nome.
Oggi quel piccolo miracolo botanico è conservato in purezza presso l'Ente Nazionale Risi. Ma per la legge italiana varietà diverse di riso possono essere vendute con una medesima denominazione se il chicco ha aspetto simile e stessa dimensione. E così tra i «Carnaroli» in vendita finiscono i meno pregiati Karnak, Carnise e Carnise precoce. «Il Carnaroli è una pianta complicata da coltivare, ha tempi di maturazione più lunghi con un ciclo vegetativo di 165 giorni. Le piante, alte fino a 175 cm, spesso si allettano per il vento e le piogge e sono sensibili al freddo», ci dice Dino Massignani, agronomo che da anni segue la coltivazione e la lavorazione del Carnaroli in purezza coltivato nella Riserva Naturale San Massimo a Gropello Cairoli nel cuore della pianura Padana e nella valle del Ticino a mezz'ora d'auto da Milano.
Massignani ci parla della sua passione, la natura, dei caprioli e dei fagiani che scorrazzano liberi (li vediamo, eccoli) nei boschi di querce, ontani neri, betulle e pioppi mentre le pozze d'acqua ospitano erbe gustose ma sconosciute e farfalle variopinte, e attirano decine di specie di uccelli anche rari. Qui tutto è in equilibrio: le acque di sorgente mantengono la temperatura, gli alberi da frutta dividono i campi 100 ettari dei migliori sono dedicati alla coltivazione del «re» Carnaroli e i frutti lasciati cadere sono mangiati dagli animali, i campi in rotazione sono fertilizzati da cornunghia e vinacce, le rane mangiano gli insetti nocivi.
La magia del posto, una ex riserva di caccia «naturalmente biologica», e la qualità della materia prima hanno convinto gli chef. A Cesare Battisti del Ratanà, il primo, sono seguiti gli stellati Antonino Cannavacciuolo, Carlo Cracco, Davide Scabin. Tutti conquistati da quel riso puro ma anche lavorato in modo rispettoso e preciso, con chicchi tutti uguali che assicurano una cottura uniforme e perfetta.
Può una riserva naturale ricca di boschi e
sorgive, erbe spontanee, fiori selvatici e animali che non temono l'uomo produrre anche un riso d'eccellenza? Può e deve, e così dovrebbe essere tutto ciò che mangiamo: naturale, fresco, incontaminato. Ma raramente lo è.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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