La revisione del catasto? Rinviata senza una scadenza, dal premier Matteo Renzi in persona a giugno perché c'era il rischio che provocasse aumenti delle tasse sugli immobili. Già massacrati dalle imposte dei due precedenti governi.
Ma nell'ultimo Def la misura è rispuntata. Nero su bianco dentro il Pnr, Piano nazionale delle riforme, che vincola il governo e costituisce la base di valutazione del Paese da parte delle istituzioni europee. Nella tabella di marcia del Documento di economia e finanza approvato venerdì scorso, il governo fissa un arco temporale molto ampio per la realizzazione della riforma 2016-2018. La subordina al processo di «allineamento delle basi dati». Precondizione non da poco. Il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa ha sottolineato come il Def faccia riferimento alla necessità di «valutare in modo accurato gli effetti di gettito e distributivi sui contribuenti», che è «la conferma delle motivazioni che avevano indotto Confedilizia a chiedere ed ottenere, nel giugno scorso, di non approvare il decreto legislativo», senza garanzie sulla «invarianza di gettito».
Il nodo resta quello dell'applicazione del principio «a livello comunale (controllabile, quindi) e non nazionale (del tutto incontrollabile) di tale principio. Ed è evidente - sottolinea l'associazione dei proprietari immobiliari - che un'applicazione seria di un principio così fondamentale impedisce di trasformare la revisione del catasto nell'occasione per aumentare un livello di tassazione sugli immobili già soverchiante».
Il Def non entra nei dettagli, ma inserisce la riforma nel «cronoprogramma governativo» nella categoria delle riforme «in avanzamento» e fissa il termine del 2018. Meno rispetto ai cinque anni preventivati ufficiosamente dal governo nei mesi scorsi.
Poi sottolinea come, se la riforma generale non è stata ancora varata, sono comunque in corso le modifiche all'accatastamento a livello di singoli comuni, due tipi di «interventi mirati». La «revisione del classamento delle unità immobiliari private site in microzone comunali» e «l'aggiornamento del classamento catastale per intervenute variazioni edilizie». E non sono misure a costo zero.
Il gettito delle due attività è rispettivamente di 184 milioni per quanto riguarda l'allineamento dei valori catastali a livello di mercato, e 181 milioni per la revisione degli accatastamenti incoerenti. Difficile non considerarli aumenti della tassazione che grava sul mattone, già massacrato dal fisco. I comuni che l'hanno applicato sono Roma, Milano, Bari e poi Atri, Bassano del Grappa, Casale Monferrato, Castellaneta, Cervia, Ferrara, Lecce, Mirandola, Orvieto, Perugia, Ravarino, Spello, Spoleto e Todi. Soprattutto per i grandi comuni, Roma in primo luogo, l'applicazione della revisione, più che a logiche di equità (evitare che case di lusso siano accatastate come economiche e viceversa), sembra rispondere a esigenze di fare cassa. Tanto che molti ricorsi presentati da proprietari attraverso Confedilizia cominciano a essere accolti.
In molti casi non sono state documentate le variazioni dell'edificio che lo hanno trasformato in una abitazione di lusso. In altre non sono state valutate correttamente le microzone. Magari ignorando che in alcune aree di quartieri di lusso, non c'è stato nessun concreto miglioramento del tessuto urbano. Succede di frequente nelle grandi città, in particolare a Roma, ma è proprio in queste che la riclassificazione si è accanita.
Probabile che il processo vada avanti a beneficio dei comuni, che dovranno contribuire alla riduzione della spesa pubblica e potrebbero essere tentati da una riclassificazione a tappeto delle case di lusso per fare cassa.
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