
I plotoni schierati, le trombe, l'inno. Quello che va in scena lunedì nel cortile di una caserma dell'Aquila è solo in apparenza uno dei riti consueti del turnover dei comandanti locali della Guardia di finanza, con i saluti agli ufficiali che vengono e che vanno. Stavolta è diverso.
Perché a ricevere l'incarico di comandante regionale per l'Abruzzo è un generale che si chiama Fabio Massimo Mendella. E il present-arm di ieri è la pagina finale di una brutta storia della giustizia italiana, la storia di un uomo dello Stato tritato senza motivo nelle indagini penali, devastato nella carriera e nella famiglia, e solo per ostinazione uscito dal tunnel senza scoppiare. Mendella è generale di brigata da appena un mese, il 10 febbraio il presidente Mattarella ha firmato la sua nomina. Ma la sua nomina porta la data di otto anni fa, dal giorno in cui avrebbe dovuto diventare generale se la Procura di Napoli non lo avesse sbattuto in carcere l'11 giugno 2014 con l'accusa di corruzione, sulla base soltanto della parola di un imprenditore-criminale, graziato dai pm in cambio delle accuse all'ufficiale. «Sei mesi in cella - ricorda Mendella - in mezzo a delinquenti della peggior specie». Nel tritasassi giudiziario, Mendella rimane per dieci lunghi anni, «una vita buttata nel cesso», fino a quando l'anno scorso la Corte d'appello di Napoli lo assolve con formula piena. Nel frattempo le parole del falso pentito sono state prese per buone non solo dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitell ma anche dal giudice preliminare che ha ordinato l'arresto, dai tre giudici del tribunale del riesame che lo hanno confermato, dagli altri tre del tribunale che hanno condannato Mendella a quattro anni di carcere. C'è voluta la Corte d'appello perché si certificasse quello che era chiaro sin dall'inizio, ovvero che le accuse all'ufficiale erano segnate da i «illogicità di fondo», «ondivaga, profonda incoerenza», «spregiudicatezza criminale». Al momento del processo d'appello i reati erano ormai prescritti, Mendella avrebbe potuto cavarsela così. Ma era così sicuro della propria innocenza che ha rinunciato alla prescrizione.
Così ieri arriva l'apparente lieto fine, c'è Mendella con la greca da generale a ricevere l'incarico dal suo predecessore.
«Mi sono stati restituiti - dice - la dignità e l'onore che meritavo»: ma le cicatrici restano, e resta l'amarezza per suo padre, vecchio maresciallo delle fiamme gialle, «scomparso nel 2020 senza poter condividere questa grande gioia». Il mese scorso anche la Corte dei conti ha preso atto dell'innocenza del generale, e gli ha restituito i beni che gli aveva sequestrato accusandolo di avere causato oltre un milione di danni allo Stato.
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