"Roma punto di riferimento per Stati Uniti ed Europa"

Il sottosegretario: "Apprezzato il pragmatismo del governo. Riconosciuta la nostra leadership sul Sahel"

"Roma punto di riferimento per Stati Uniti ed Europa"
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Matteo Perego di Cremnago, come sottosegretario alla Difesa, qual è il suo giudizio sulla visita a Washington di Giorgia Meloni?

«Il giudizio è molto positivo, gli Stati Unti sostengono gran parte del peso della Difesa globale ed europea. L'incontro del presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha rappresentato una occasione importante per affrontare i temi cruciali della difesa, dal punto di vista bilaterale e Nato. L'Italia deve essere un punto di riferimento per gli Stati Uniti e un punto di riferimento europeo in seno all'Alleanza Atlantica, aspetto che è stato considerato anche a Vilnius».

All'indomani della vittoria elettorale si disse che l'amministrazione Biden avesse accolto con freddezza la vittoria del centrodestra. Cosa è cambiato in questi mesi?

«Si è visto il pragmatismo del nuovo governo italiano, soprattutto in relazione a temi come la difesa verso cui gli Stati Uniti hanno molta sensibilità, e ad aree geografiche come Africa, Sahel e Mediterraneo allargato. Washington ha riconosciuto in maniera palese la leadership italiana nella regione e questo non solo è importante per il nostro Paese ma può sicuramente essere da stimolo per gli altri stati europei».

Lei conosce bene la situazione in Niger dove è stato in visita e dove è presente una missione militare italiana. Cosa sta accadendo e quali pericoli si profilano all'orizzonte per la stabilità del Sahel?

«Il golpe della Guardia Presidenziale in Niger porterà ad una nuova configurazione politica del paese anche se non si percepisce una partecipazione massiccia della popolazione con tentennamenti anche da parte dei golpisti. La situazione è abbastanza incerta e nella condizione peggiore, non auspicabile e al momento lontana, potrebbe toccare altri paesi del Sahel (Mali, Burkina Faso) oppure determinare un ritorno allo status quo in una direzione, ci auguriamo, democratica. Anche in questa situazione gli USA hanno preso una posizione importante, avendo anche un discreto numero di militari nell'area, accusando i golpisti di minacciare il successo di una cooperazione che va avanti da anni».

Esiste il pericolo che il Niger possa entrare nella sfera di influenza della Russia?

«Apparentemente la Russia nel vertice di San Pietroburgo avrebbe auspicato una risoluzione della situazione senza l'uso della forza. La caduta dell'ex presidente Bazoum che era uno dei leader più vicini all'Occidente in quella regione può però giocare a favore di Mosca e rischia di portare al crollo della sfera d'influenza europea sull'Africa. In generale, tutta l'area al di sotto del deserto del Sahara è in crisi: Niger e Mali sono minati dall'instabilità politica e sono caduti in mano ai golpisti, il Ciad è alle prese con una difficile transizione dopo la morte, nel 2021, del presidente-dittatore Idriss Deby, mentre in Sudan si combatte ormai da più di tre mesi, in un contesto di fame e crisi umanitaria che dura da praticamente quarant'anni».

Cosa può fare l'Occidente in questa situazione?

«É importante investire diplomaticamente e fisicamente. La comunità internazionale e l'Europa in primis (vista la posizione strategica) devono evitare che si rafforzi l'influenza russa in una zona ricchissima di materiali e con un potenziale di sviluppo del tutto inespresso. La caduta di Bazoum è un dramma per l'occidente. Bazoum era garante di un equilibrio fragilissimo, l'unico che aveva deciso di accogliere i francesi in ritirata dal Mali, l'unico che parlava con l'Europa e con gli Stati Uniti.

Si dovrà progettare una strategia di ampio respiro che possa quantomeno permettere alle aziende occidentali di continuare a operare in Niger senza pericoli. E bisogna trovare una soluzione che eviti il totale crollo della sfera d'influenza europea sull'Africa».

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