Gerusalemme L'Iran adesso promette vendetta, mentre a poche ore dall'attacco a Isfahan altri due obiettivi sono stati colpiti: due convogli di camion carichi di armi iraniane per gli Hezbollah al confine fra la Siria e l'Irak sono stati distrutti. Lo schiaffo è potente. Probabilmente si prepara una risposta. Ma gli Ayatollah non potranno uscire dai binari senza il permesso del loro alleato, Putin, ormai il loro boss. Chiunque ha attaccato le strutture che producono armi, velivoli, uranio arricchito per l'Iran ha collocato la questione delle armi iraniane in un punto centrale dello scenario mondiale. Se si dovesse aprire un fronte diretto della guerra, anche in Medio Oriente, si disegnerebbe come la scena di una guerra mondiale guerreggiata dalle due parti oggi in conflitto sulla scacchiera internazionale, quella della Russia con l'Iran e quella occidentale.
È stata un'operazione grandiosa l'attacco di droni, probabilmente lanciati da una cellula nella zona e attribuito a Israele, alla struttura militare nella città di Isfahan, nel cuore dell'Iran, un centro grande e difeso. I droni suicidi «quadcopter» sono piovuti diritti contro la struttura che produce, sembra, i missili ipersonici che possono arrivare fino a Gerusalemme, o a Kiev! e i migliori droni; oggi Zelensky deve sentirsi finalmente spalleggiato sul serio; e Putin è probabilmente al telefono con gli ayatollah o con il premier iraniano Raisi che lo tempestano di domande sul prossimo passo.
E intanto l'incontro di ieri fra il segretario di Stato americano Antony Blinken e Netanyahu a Gerusalemme ha certo preso una strada molto più vivace e fattiva dei soliti incontri amichevoli e tuttavia un po' ripetitivi fra Stati Uniti e Israele. Era stato Blinken, poche ore prima, a dichiarare improbabile un ritorno all'accordo sul nucleare cui Biden aveva puntato, e ad affermare che ogni ipotesi strategica è aperta, ovvero anche la guerra. Quello che ha portato a capire che un accordo con gli ayatollah era un'illusione, è stata certo la sua collaborazione con Putin, poi il dispiegamento della vera natura del regime con la repressione di massa di queste settimane, i 500 e più morti, ragazzi, donne e bambini, per le strade, le impiccagioni medievali, disumane; ma anche la sfacciata gestione iraniana della trattativa a Vienna col P5+1, la ripetizione delle menzogne all'Aiea sull'uranio arricchito.
E allora mentre l'orizzonte occidentale diventava sempre di più quello di un fronte tutto unito, dagli Usa all'Europa ai Paesi sunniti aperti al dialogo, contro la Russia dell'aggressione all'Ucraina e i suoi amici, mentre la Cina e anche la Turchia restano perplessi, l'Iran ha compiuto in maniera definitiva il salto strategico: è una scelta costosa, e gli Ayatollah devono averla fatta perché ormai stretti all'angolo dall'insurrezione. Fornendogli i droni, si sono messi sotto l'ala di Putin. Per la Russia, il vantaggio è stato grosso: senza quelle armi, si dice che avrebbe già perso. È la scelta di sottomissione che a suo tempo ha compiuto Assad di Siria, o che hanno fatto la Bielorussia e il Kazakistan: hanno scelto la protezione di Putin, dalla sua parte e ai suoi ordini.
Ma è anche naturalmente una scelta che dona all'Iran una dimensione strategica molto più larga di quella tradizionale della conquista sciita del mondo islamico e della vittoria apocalittica del «Mahdi» il profeta sciita, sull'Occidente. È anche per Putin un legame intrigante, che può portarlo a mettere in atto quelle minacce a Israele che ha sempre lanciato.
Ma Israele stavolta un passo l'ha fatto, e molto più importante, come avviene da tempo, delle parole di solidarietà. L'ambasciatore israeliano in Germania Ron Prosor l'ha detto al Morgenpost: «Noi aiutiamo a battere l'invasione russa, anche se dietro le quinte, molto di più di quello che si sappia».
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