Un ponte sullo stretto non si nega a nessuno. Dopo tutto, non è mica una TAV Torino-Lione. Giuseppi, poi, ha dalla sua il garbo, che gli impedisce di pronunciare il NO. Se ponte deve essere, sia. Certo non adesso, ma in futuro perché no? Beninteso, che sia un'opera di alta ingegneria, non di bassa, e soprattutto eco-compatibile: non vorremo mica farne uno che inquina. Ma l'uomo ha anche un'immaginazione vivissima, che è guarda caso uno dei prodotti più ricercati dall'italico vacanziere. Allora, da un ponte a un tunnel è un attimo. Insomma, una piacevole conversazione da bar d'estate, dove ognuno ipotizza la qualunque. Peccato che uno sia il Presidente del Consiglio in carica e se parla di un'opera capita che qualcuno lo prenda sul serio. E parliamone seriamente, di ponti, tunnel e infrastrutture in genere. Il Paese è indietro di alcuni decenni su quelle dedicate ai trasporti. L'Autostrada del Sole fu un capolavoro, come opera e come tempi di realizzazione. Trent'anni dopo, l'altra grande opera, l'Alta Velocità, ha mostrato quanto il sistema non fosse più in grado di partorire opere in tempi ragionevoli e a costi accettabili. Per il resto, le strade sono rimaste in buona parte quelle di quarant'anni fa, così come le ferrovie. Milano e Torino sono riuscite a posare qualche linea di metro e poi anche Napoli, mentre Roma ancora agonizza. Il trasporto è cresciuto invece enormemente. Nel 1960 sulle nostre strade circolavano meno di 2,5 milioni di autoveicoli. Dieci anni dopo erano più che quadruplicati, a oltre 11 milioni. Per la politica, un segnale difficile da non cogliere. Eppure ci sono riusciti, i fantastici statisti della Prima Repubblica, oggi spesso evocati: ah, se ci fossero loro! Che somiglia tanto a quel: ah, quando c'era lui! A fine secolo erano 36 e adesso che abbiamo scavallato i 40 milioni siamo quasi bloccati. Spostarsi da qua a là costa il doppio del tempo e comporta il doppio del disagio. Viaggiare per turismo sulla incantevole costiera sorrentina è una sventura da evitare, perché significa stare in coda per ore e avanzare a passo d'uomo. Concedersi una gita a Bormio da Milano è un regalo solo nell'immaginazione di chi resta, poiché quelli in macchina la vedono diversamente. Della Liguria non parliamo per pudore. Dunque sì, le infrastrutture sono per il Paese necessarie come una fonte fresca nel deserto. Ma quelle vere, quelle che servono. Che sono tante, piccole o medie, e servono adesso. Non ce ne facciamo nulla di un'opera faraonica da sventolare. Però la questione di fondo non è cosa fare e cosa non fare, bensì se fare e come fare. In concreto, quando si tratta di costruire un'opera si incontrano due problemi. Uno di sistema: l'impianto normativo e le amministrazioni sono capaci di far realizzare qualcosa, qualunque cosa? Tipo la vela di Calatrava a sud di Roma, che doveva essere un fantastico parco sportivo. O piuttosto sono congegnati per impedire o rallentare sine die? In gergo motoristico, visto che di trasporti parliamo, dobbiamo chiederci se il nostro sistema possa scaricare a terra una decisione e i fondi per realizzarla. L'altro problema è culturale, ideologico. Una strada è fatta di calcestruzzo e asfalto, posati dove c'erano terra e vegetazione. Siamo d'accordo a sostituire le seconde con i primi? Abbiamo il coraggio politico di spiegare ai nipoti dei fiori che dobbiamo muoverci e servono strade? Incidentalmente, per inquinare meno, visto che un traffico scorrevole consuma meno di una coda fatta di continui start-and-stop.
La vita bucolica è bellissima per alcuni e un po' noiosa per altri. Sfortunatamente, molti di noi non possono permettersela, perché devono produrre per sbarcare il lunario. Il tele-trasporto di Star Trek sarebbe l'ideale, ma purtroppo ancora non ci siamo.
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