Potrebbe rivelarsi la settimana più dura dell'anno quella che sta per aprirsi. Almeno per Matteo Salvini. Sarà la settimana della cabina di regia. E sarà soprattutto la settimana dell'approdo in Aula al Senato (martedì) del disegno di legge sul tema che tiene banco nella maggioranza di governo, spaccata sull'opportunità di estendere ulteriormente o meno l'obbligatorietà del green pass, dopo che il Consiglio dei Ministri, giovedì scorso, ne ha allargato l'utilizzo nel mondo della scuola, delle università e delle residenze sanitarie.
I governatori del Nordest del Carroccio, per esempio, hanno fatto muro in difesa del provvedimento. Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, sono loro gli «uomini del fare», quelli chiamati a gestire i territori e l'economia regionale. E non hanno tempo, fanno sapere, per polemiche strumentali. «Davanti a scelte così importanti, il dibattito e la discussione sono inevitabili. Ma nella Lega la linea che vince è quella della responsabilità messa nero su bianco dai governatori - spiega Zaia nel corso di un'intervista al Corriere della Sera -. Poi, se resta qualche nostalgico del no green pass o del no mask, ne prenderemo atto. Penso che non ci siano alternative alle scelte che abbiamo fatto».
E che il segretario leghista sia in difficoltà lo dimostrano soprattutto gli scivoloni da «campagna elettorale» come l'uscita sui vaccini responsabili, a suo dire, delle varianti del virus. Dai virologi ai commentatori politici, in tanti hanno stigmatizzato le sue parole. E gli avversari politici (fuori e dentro la maggioranza), a iniziare da Nicola Fratoianni di Sinistra italiana («sciocchezze pericolose») e Giuseppe Conte («parole preoccupanti») ora chiedono chiarimenti.
Ma non sono soltanto i governatori a spingere per il green pass. Molti parlamentari della lega hanno, infatti, preferito assentarsi al momento delle votazione per non appoggiare gli emendamenti proposti dall'alleato/rivale di Fratelli d'Italia. A differenza di Zaia e Fedriga il leader del partito è in perenne campagna elettorale. Soprattutto adesso con le amministrative alle porte. Amministrative che potrebbero portare risultati non proprio ottimali per i dirigenti di via Bellerio. Non è un caso, fanno notare i cronisti politici più smaliziati, che questa è la prima volta che Matteo Salvini non si candida al Comune di Milano. Dove non ha mancato di far inserire il suo nome nelle ultime tornate elettorali. Si dice che il timore sia che proprio il partito della Meloni possa ottenere nel capoluogo lombardo un numero di voti superiore e a quello della Lega.
Girano poi sondaggi, smentiti però dai partiti di centrodestra perché ritenuti poco attendibili, che danno per probabile la riconferma del sindaco piddino di Varese (città di Roberto Maroni e del governatore Attilio Fontana) e in forse la conquista di Savona e Pordenone. Insomma si rischia, secondo l'ala dura del partito, che il centrodestra vinca come coalizione ma che la Lega perda terreno proprio nelle roccaforti dove è nata e cresciuta.
E sulla crisi di identità del movimento federalista, portato al successo da Umberto Bossi, sono in molti a interrogarsi. Paradossalmente il Carroccio sta conquistando posizioni di grande prestigio al Centro e al Sud proprio a discapito della terra d'origine. Ecco che in questa chiave la battaglia contro l'estensione dell'obbligo di vaccinazione rappresenta per Salvini uno dei modi per non perdere terreno nei confronti dell'alleata Meloni. E sempre in questa chiava va letto il suo «nuovo corso» nei confronti del Vaticano.
Così come la battaglia per la difesa di «quota 100» per il sistema pensionistico. Un argomento che se gli vale un largo consenso presso l'elettorato non gli fa trovare, però, l'appoggio degli «economisti» di governo a iniziare dal premier Draghi.
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