Salvini si prende i porti. E rilancia sui temi leghisti

Delega blindata per le Infrastrutture. Il leader non cessa il pressing su flat tax e legge Fornero

Salvini si prende i porti. E rilancia sui temi leghisti

Di lotta o di governo? È la domanda che risuona a Montecitorio, in transatlantico. Dalla buvette fino al cortile tutti (sottovoce) parlano delle ultime mosse di Matteo Salvini. Se durante la partita per formare la squadra di governo il leader della Lega taceva e tramava oggi, per quella sui sottosegretari, parla. «Pure troppo» secondo alcuni colonnelli del Carroccio. «Deve imparare a trattenersi» confidano i suoi, che faticano a capire la strategia del Capitano fatta di note stampa, incontri e vertici. Quasi a voler bruciare sul tempo l'avversario. Ops, l'alleato. «Ha semplicemente voglia di fare, non c'è malizia. Lui è così!» esclama un deputato leghista facendo spallucce.

Matteo Salvini sembra il fratellastro maggiore di Giorgia Meloni. È lì, al suo fianco nel giorno della fiducia. Dietro i banchi del governo. È premuroso, più volte si sbraccia per chiedere ai commessi l'acqua per il Presidente che si schiarisce la voce e prende fiato. «Così finiamo alle tre» gli sussurra Giorgia Meloni interrotta più volte dagli applausi. Compreso quello di Salvini. Lui si mostra affettuoso, sorride. La abbraccia. Per i più maliziosi, però, è solo una tattica comunicativa, un modo per mostrare unità. Per far vedere ai giornalisti prima, e agli elettori dopo, che il centrodestra è unito. Oggi come ieri. Che tra Matteo e Giorgia va tutto bene. Lei lo blinda: «La discussione sulla delega sui porti non esiste». E il leader della Lega, alla domanda se il ministero del Mare possa prendere quella delega, risponde «assolutamente no».

Di prima mattina Salvini pubblica un video sui social network. Il luogo scelto è l'ufficio del ministero. Seduto sulla poltrona, con lo sfondo delle cartine geografiche, munito di occhiali (ormai immancabili), Salvini rispedisce al mittente le polemiche delle ultime ore sul suo «discorso programmatico» tenuto il giorno prima dell'intervento alla Camera di Giorgia Meloni. «Beh, avrebbe potuto evitare» dicono dagli scranni di Fratelli d'Italia. Ma Francesco Lollobrigida, fresco di nomina al dicastero dell'Agricoltura, minimizza: «Il programma di Salvini? Una cosa normalissima, ci mancherebbe altro che un ministro non possa avanzare proposte, anzi». Flat tax al 15%, il superamento della legge Fornero e la pace fiscale oltre alla lotta dell'immigrazione clandestina. Questi i punti più cari a Salvini. A chi lo accusa di essere iperattivo risponde: «Mi pagano per essere attivo, dovrei stare a casa per giocare a burraco?» e poi mostra il programma elettorale del centrodestra «scelto dagli italiani» su cui aggiunge - «dobbiamo lavorare per i prossimi cinque anni. Con Giorgia e Silvio passeremo dalle parole ai fatti con determinazione».

Di strada ce n'è tanta da fare ed è tutta in salita ma ora bisogna pensare alle nomine. Alla Lega dovrebbero spettare dieci, forse dodici sottosegretari. Ma questa volta Salvini potrebbe perdere la partita. «Il calcolo è in proporzione agli eletti» ci dicono gli addetti ai lavori. Molti leghisti potrebbero essere riconfermati come Nicola Molteni al ministero dell'Interno o Rossano Sasso a quello dell'Istruzione. «Non credo di essere della partita» - confida il pugliese Sasso - «Abbiamo già il ministro dell'istruzione che è nostro con il quale sto già lavorando» ma con Salvini mai dire mai. Alle Infrastrutture, infatti, si fa il nome di Edoardo Rixi già viceministro e sottosegretario. Lui potrebbe tornare lì, al fianco del suo Capitano. La sua presenza negli incontri e nelle riunioni è un segnale.

Anche Federico Freni potrebbe essere riassegnato al Mef al fianco di Giancarlo Giorgetti. Le caselle da riempire sono tante come i leghisti del nordest che reclamano un posto. «I ministri sono tutti lombardi, qualcosa ora spetta anche a noi».

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