Sangue in Iran, battaglia per i diritti

La protesta è sempre più politica. In cella la donna anti-hijab, ucciso un poliziotto

Gaia Cesare

«Lavori tutto il giorno e non hai niente da mangiare a casa la notte. Hai quattro mesi di arretrati di affitto da pagare e sei mesi di stipendio che non ti viene pagato». Le ragioni della rivolta che da Nord a Sud, da Est a Ovest sta infiammando l'Iran come non avveniva da quasi un decennio, le spiega una donna in jihab nero, da una delle piazze più agitate del Paese. Ma il video diffuso in Rete dalle forze antigovernative racconta solamente una delle ragioni delle scosse all'origine del terremoto che sta scuotendo il potere teocratico di Teheran. Al quinto giorno di manifestazioni, dopo l'esplosione delle prime proteste giovedì contro le politiche economiche del governo del presidente Hassan Rohani, la rivolta in Iran si sta trasformando: da crisi di origine economica a crisi di natura politica, per i diritti e contro la corruzione dilagante. Non succedeva dal 2009, dai tempi dell'Onda Verde nata contro la rielezione di Mahmud Ahmadinejad e brutalmente repressa dal leader ultraconservatore. E ora le proteste potrebbero proprio ritorcersi contro quell'ala conservatrice sospettata di essere all'origine delle attuali rivolte, non a caso esplose proprio a Mashhad, dove risiede lo zoccolo duro dei religiosi e politici nemici dell'attuale presidente riformista Rohani. Il numero delle piazze coinvolte si allarga e così il numero delle vittime della repressione governativa, salito ora a quota dodici, mentre a Najafabad, 400 chilometri sud di Teherana, è stato ucciso un poliziotto e altri tre agenti sono stati feriti.

Che la rivolta abbia ormai preso una piega politica lo prova anche la nuova immagine simbolo della protesta, la giovane donna dai capelli neri, sciolti lungo le spalle, che sventola con un bastone un jihab bianco: sarebbe stata arrestata per la sua protesta contro il velo imposto alle donne in Iran, sull'onda della campagna nata sotto l'hashtag #whitewednesday, assieme a 400 persone finite in manette negli ultimi giorni, mentre i confronti tra manifestanti e forze dell'ordine si fanno più duri e gli attacchi contro centri religiosi, banche, edifici pubblici più frequenti. L'immagine della giovane diventa la prova di una trasformazione delle proteste, sempre più orientate sui diritti umani e contro il potere teocratico.

Una crisi che non può non avere riflessi internazionali. Mentre Rohani accusa «chi sobilla i disordini» riferendosi proprio ai suoi avversari politici, usa il bastone in piazza e la carota a parole («La critica del Paese è un diritto del popolo»), Donald Trump dice che «l'Iran sta fallendo a ogni livello», che «è tempo di cambiare» perché c'è un popolo «affamato di libertà».

«Non li deluderemo», insiste il suo vice Mike Pence, anche lui in polemica contro «il terribile accordo» sul nucleare (così lo ha chiamato Trump) stretto tra Usa e Iran. L'intesa aveva fatto sperare gli iraniani, con la fine parziale di una parte delle sanzioni internazionali, in una possibile ripresa economica.

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