Sanzioni e 5G, ora è "guerra" alla Cina

Hong Kong, provvedimento di Trump. Huawei, Pompeo a Londra. Pechino: rappresaglia

Sanzioni e 5G, ora è "guerra" alla Cina

Il giorno dopo la netta presa di posizione di Boris Johnson contro Huawei, il colosso informatico cinese che sarà progressivamente estromesso dallo sviluppo della tecnologia 5G nel Regno Unito, nuovi elementi vengono a confermare il progressivo saldarsi di un'alleanza tra Washington e Londra contro la Cina, che in prospettiva potrebbe costituire la base di un fronte occidentale, con alleati in Estremo Oriente, per fronteggiare una Pechino sempre più percepita come il nemico numero uno di una guerra fredda del ventunesimo secolo.

Forte del sostegno bipartisan al Congresso, il presidente americano Donald Trump ha ufficializzato che gli Stati Uniti ritireranno i privilegi economici e finanziari fin qui concessi a Hong Kong in virtù del suo status speciale ora non più rispettato da Pechino: «D'ora in poi ha detto Trump Hong Kong verrà trattata come il resto della Cina. Con le sue libertà e i suoi diritti, la città ha perso la capacità di competere con i mercati liberi, e mi aspetto che da lì saranno in molti ad andarsene». Cosa che si prepara ad esempio a fare buona parte dell'ufficio hongkonghese del «New York Times», trasferendosi a Seul entro l'anno prossimo.

Trump ha espresso questi concetti in un contesto da campagna elettorale, nel quale denuncia la Cina come la causa della rovinosa pandemia di Covid-19 e più in generale come il nemico esterno da combattere insieme al resto del mondo libero mentre al tempo stesso addita il suo avversario democratico Joe Biden come un candidato presidenziale debole se non addirittura connivente con Pechino. Affermazioni che stanno già provocando reazioni rabbiose da parte del governo cinese, che accusa Washington di alimentare tensioni ad arte e minaccia di ampliare le controsanzioni già applicate contro alcuni funzionari americani pochi giorni fa. Il ministero cinese degli Esteri sostiene che la Casa Bianca sceglie di provocare Pechino in ambiti regionali che non le competono, creando consapevolmente problemi molto seri.

Il riferimento è soprattutto alle manovre che la Marina militare americana ha in corso nel Mar Cinese Meridionale. Ieri il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, dopo aver annunciato il suo imminente viaggio a Londra per coordinare con il premier Johnson le mosse contro Huawei (che da lungo tempo Washington chiede ai suoi alleati Nato di estromettere da programmi tecnologici sensibili), ha espresso chiaramente i termini della nuova strategia anticinese degli Usa, una strategia che è anche militare: «Il mondo ha detto testualmente non permetterà a Pechino di trattare il Mar Cinese Meridionale come il suo impero marittimo», e ha ricordato che sono almeno sei (Vietnam, Taiwan, Filippine, Malaysia, Indonesia e Brunei) i Paesi che avanzano pretese territoriali su quel mare che Pechino pretende di annettersi con la forza dopo avervi illegalmente costruito una rete di basi aeree e navali su piccole isole di incerta sovranità.

Il riferimento di Pompeo al «mondo» rimanda al verdetto di alcuni anni fa del Tribunale dell'Aia contro le pretese territoriali della Cina, ma lascia intendere la volontà americana di creare con una lunga serie di Paesi alleati, che potrebbe includere oltre al Regno Unito anche Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Singapore e perfino l'India, un fronte militare per

contenere le sue mire espansionistiche. E non è un caso che fonti militari del «Times» rivelino che a Londra si starebbe discutendo dell'invio in Estremo Oriente di una nuova portaerei britannica da affiancare alla missione Usa.

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