Trenta anni a Vincenzo Paduano sono troppo pochi. Lo ha deciso la prima sezione penale della Cassazione, che accolto il ricorso della procura generale di Roma contro la sentenza d'Appello, emessa il 10 maggio del 2018, nei confronti dell'ex guardia giurata accusata di aver tramortito, strangolato e dato alla fiamme, il 29 maggio 2016 nel quartiere romano della Magliana, l'ex fidanzata Sara Di Pietrantonio. Così la Cassazione ieri ha disposto un processo d'Appello bis per aumentare la pena, fino all'ergastolo, con cui l'imputato era già uscito dopo il processo di primo grado.
I giudici di piazza Cavour hanno evidentemente condiviso le conclusioni del pg di Cassazione Stefano Tucci, che aveva sollecitato un appello-bis per aggravare la condanna, affermando che il reato di stalking contestato all'imputato fosse fattispecie autonoma rispetto all'accusa di omicidio.
La sentenza di secondo grado, pronunciata nel maggio 2018, aveva invece ridotto la pena a Paduano a 30 anni di reclusione, ritenendo il reato di stalking assorbito in quello di omicidio.
Ora dopo il deposito delle motivazioni, entro 90 giorni, la Corte d'assise d'Appello di Roma, sulla base delle indicazioni che detterà la Cassazione, dovrà quindi ripronunciarsi e l'imputato, recluso nel penitenziario di Rebibbia, potrebbe tornare a dover scontare il carcere a vita.
«Lui è sempre stato pressante, psicologicamente la manipolava e sono contenta che vengano riconosciute le manipolazioni che Sara ha subito - dice Concetta Raccuia, la mamma della vittima - Perché questo, spero, aprirà un filone anche per le altre ragazze che si trovano ogni giorno nella condizione in cui si è trovata mia figlia».
I reati attribuiti a all'ex guarda giurata sono omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi e dalla minorata difesa, e poi stalking, distruzione di cadavere e incendio dell'auto della sua ex. Per la procura di Roma, l'uomo agì accecato da una gelosia che si era trasformata in persecuzione. Un delitto orribile risolto dagli inquirenti nel giro di pochissimo tempo. Su Facebook due ore prima dell'omicidio lui aveva scritto «quando il marcio è radicato nel profondo ci vuole una rivoluzione, tabula rasa. Diluvio universale».
Lui pretendeva di controllare a distanza la ragazza, anche se la relazione sentimentale era da tempo conclusa. Ma non riuscendoci ne ha fatto scempio.
Poi l'8 maggio 2018, nel processo di secondo grado, il discutibile pentimento: «Non posso meritare la pace. Mi vergogno di quello che ho fatto. Non riuscirò mai a perdonarmi di aver tolto a Sara la possibilità di diventare grande». Parole alle quali la famiglia della ventiduenne non crede.
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